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La riforma dell’Onu che non piace a Meloni

“La riforma ha un senso se viene fatta per tutti e non solo per alcuni. Non ci interessa creare nuove gerarchie e non crediamo che esistano nazioni di serie A e di serie B. Esistono le nazioni, con le loro storie, le loro peculiarita’ e i loro cittadini che hanno tutti gli stessi diritti perche’ gli individui nascono tutti liberi e uguali”. Sono le parole di Giorgia Meloni nel suo intervento al vertice dedicato al futuro delle Nazioni Unite. Le parole critiche di Meloni si riferiscono al progetto di riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che la presidente del Consiglio vorrebbe ispirate ai “principi di eguaglianza, democraticità e rappresentatività”.

In sostanza, l’Italia chiede che le venga riconosciuto un ruolo di primo piano nel futuro allargamento del Consiglio di sicurezza, l’organo esecutivo dell’Onu formato da cinque membri permanenti con diritto di veto  (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) più altri dieci stati membri a rotazione.

Si parla da anni di una riforma del Consiglio di sicurezza in grado di rispecchiare meglio la complessità del mondo di oggi. Il tema è stato affrontato dal Patto per il Futuro adottato dall’ONU domenica per affrontare le sfide del XXI secolo: dal cambiamento climatico all’intelligenza artificiale, dall’escalation dei conflitti all’aumento delle disuguaglianze e della povertà

“Il nostro mondo sta attraversando un periodo di turbolenza e di transizione, ma non possiamo aspettare le condizioni perfette. Dobbiamo compiere i primi passi decisivi per aggiornare e riformare la cooperazione internazionale”, aveva chiesto il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.

“Riformeremo il Consiglio di Sicurezza, riconoscendo l’urgente necessità di renderlo più rappresentativo, inclusivo, trasparente, efficiente, efficace, democratico e responsabile”, si legge nel documento finale. Tra gli obiettivi c’è quello di “rimediare all’ingiustizia storica contro l’Africa come priorità e, trattando l’Africa come un caso speciale, migliorare la rappresentanza delle regioni e dei gruppi sotto-rappresentati e non rappresentati, come l’Asia-Pacifico e l’America Latina e i Caraibi”. Lo scopo è quello di ampliare il Consiglio di Sicurezza al fine di essere più rappresentativo dell’attuale composizione delle Nazioni Unite e riflettere le realtà del mondo contemporaneo e, tenendo conto dei nostri impegni nell’obiettivo di sviluppo sostenibile, aumentare la rappresentanza dei paesi in via di sviluppo e degli Stati piccoli e medi”.

Queste conclusioni sono in linea con quanto aveva dichiarato il 18 settembre al Centro della stampa estera di Washington Linda Thomas-Greenfield, ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite. “Si tratta di un processo iniziato due anni fa”, aveva spiegato la diplomatica, “quando il Presidente Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti sono favorevoli all’ampliamento del Consiglio per includere una rappresentanza permanente di Paesi dell’Africa, dell’America Latina e dei Caraibi.  Questo si aggiunge ai Paesi che da tempo sosteniamo per i seggi permanenti: India, Giappone e Germania.  In primo luogo, gli Stati Uniti sono favorevoli alla creazione di due seggi permanenti per gli africani nel Consiglio.  In secondo luogo, gli Stati Uniti sono favorevoli alla creazione di un nuovo seggio eletto nel Consiglio di sicurezza per i piccoli Stati insulari in via di sviluppo.  In terzo luogo, gli Stati Uniti sono pronti ad agire su queste riforme e a perseguire un negoziato basato sul testo; in altre parole, a mettere i nostri principi sulla carta e ad avviare il processo di modifica della Carta delle Nazioni Unite”.

Questa accelerazione da parte degli Stati Uniti spiazza l’Italia, che da anni, attraverso l’iniziativa Uniting for Consensus lavora con un gruppo di Paesi, geograficamente trasversale, accomunati da alcuni convincimenti, soprattutto dalla contrarietà ad istituire nuovi seggi permanenti attribuiti a singole Nazioni. “Se infatti”, è la posizione dell’Italia, “la condizione degli attuali 5 membri permanenti trova una spiegazione nelle particolari circostanze storiche della fine della seconda Guerra Mondiale, i Paesi di UfC ritengono che non sarebbe opportuna oggi una riforma che desse vita ad ulteriori, ingiustificate posizioni privilegiate in seno alla Comunità Internazionale, a detrimento degli interessi generali dell’intera membership onusiana”.

Sono divergenze di vedute non nuovo che potrebbero allungare ulteriormente i tempi di una riforma invocata da tutti e più che mai necessaria in un mondo dove il multilateralismo appare sempre più in crisi.





Dal sito Famiglia Cristiana

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