L’ethos nazionale non sarebbe lo stesso, il nostro paese non sarebbe lo stesso e noi tutti non saremmo gli stessi, senza questi 70 anni di televisione. Un’intera generazione non sarebbe uscita dall’analfabetismo senza la televisione e l’Italia sarebbe stata meno unita senza questo immaginario comune che crea anche quel tanto che ci unisce. Guai a dividerlo o indebolirlo!».
Sono alcune delle parole pronunciate dal presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi nell’omelia in occasione della messa dedicata alla Rai per i 70 anni di trasmissioni televisive e 100 di radiofonia, celebrata a Roma, in Santa Maria in Trastevere. Impossibile non ravvisare nell’accenno al contrasto all’analfabetismo, il riferimento al maestro Alberto Manzi, di cui ricorre proprio, oggi, 3 novembre 2024 il centesimo anniversario della nascita, e al ruolo della sua trasmissione Non è mai troppo tardi nel contribuire al recupero dell’alfabetizzazione in un’Italia che ancora assolveva solo alcuni degli otto anni di obbligo scolastico in Costituzione, in cui gli analfabeti erano ancora tanti, e l’italiano era ancora ben lontano dal potersi dire lingua comune. In realtà la Rai con due anni di anticipo sull’avvio ufficiale delle trasmissioni, datato 3 gennaio 1954 ma la Rai, aveva già trasmesso la prima messa nel giorno di Natale dalla chiesetta di San Gottardo in Corte a Milano, in via sperimentale.
Uscendo dalla storia, il Cardinale Zuppi, nel mondo che cambia velocemente, lontanissimo da quello che portava la Tv nelle case per la prima volta, ha ricordato al servizio pubblico il suo ruolo: «La tecnologia che progredisce continuamente chiede proprio quel “di più” di valore che il servizio pubblico ha come impegno primario, proprio perché pubblico, per tutti, libero da motivi commerciali e interessi di mercato, per aiutare il senso del bene comune, per riannodare il gusto per i legami e per il dialogo in un tempo luccicante di like e di comunanze superficiali e di pollici abbassati, di linguaggi aggressivi, di amici senza amicizia e di nemici che si condannano senza conoscerli».