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Quelle grida di gioia e il lungo viaggio verso Livorno

di Roberto Zichittella

inviato a bordo della “Life Support”

Questa mattina alle 9 Domenico Pugliese, il comandante della Life Support, la nave di ricerca e soccorso dí Emergency, ha annunciato alle 72 persone soccorse in mare  giovedì 31 ottobre che il porto di sbarco sarà Livorno. L’annuncio è stato fatto sul ponte della nave, con l’aiuto di una carta geografica dell’Italia e con la traduzione in arabo di un mediatore culturale che si faceva ascoltare da tutti grazie a un megafono. I naufraghi salvati nelle acque fra Malta e la Libia, in maggioranza siriani, ascoltavano attenti e filmavano la scena con i telefonini. Poi ci sono state grida di gioia e un canto improvvisato.

Ma il viaggio è ancora lungo. Saremo a Livorno solo lunedì mattina presto. Per fortuna il mare è quasi calmo e c’è il sole. Stamattina presto la Life Support è passata al largo dell’isola di Marettimo e procede verso Nord. L’assegnazione di porti sicuri di sbarco lontani dalle zone operative purtroppo è una costante. Nelle 24 missioni precedenti della Life Support questo ha comportato 56 giorni extra di navigazione, 22.600 chilometri in più e una spesa aggiuntiva di quasi 940 mila euro.

La lunga navigazione però non sembra agitare le persone soccorse. Passano il tempo e dormono  nel ponte coperto (la shelter area), dove fanno colazione alle 7, pranzano alle 12 e cenano alle 18. Durante il giorno salgono sul ponte all’aperto. Gli uomini e i ragazzi fumano. Si parla, si guarda il mare, si fanno foto. Qualcuno è molto socievole, altri più solitari e taciturni. Innumerevoli i selfie con lo staff di Emergency.

La prima operazione di soccorso di giovedì ha portato in salvo 38 persone (14 donne, 4 minori accompagnati e 2 che viaggiano da soli) provenienti da Siria, Nigeria, Palestina e Niger. La seconda operazione, nel tardo pomeriggio, ha recuperato 34 persone provenienti da Pakistan, Siria, Egitto e Bangladesh. Fra loro anche 5 minori non  accompagnati.

Alle spalle lasciano guerre, suprusi, violenze, lutti, povertà e precarietà economica. Quando parlano dei libici fanno il segno di una lama sulla gola, di polsi ammanettati e mettono le dita a forma di pistola. Per molti di loro gli ultimi mesi prima della partenza devono essere stati tremendi. Poi una notte è arrivato il momento di partire. Senza bagaglio. Solo i documenti e il telefono. Alla ricerca di un futuro migliore, affrontando l’ignoto lì dove finisce l’Africa  e comincia il mare. 





Dal sito Famiglia Cristiana

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