«Un nuovo trattato di Helsinki durante il Giubileo». Sognano in grande le Acli, arrivate al loro 80esimo compleanno. Di fronte al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e a un migliaio di aderenti, sfilano le immagini storiche del Governo di Mussolini che si trasforma in dittatura, della guerra, della liberazione. Il ricordo di Achille Grandi, fondatore e primo presidente delle Associazioni cristiane die lavoratori italiani, sindacalista, politico, antifascista, che partecipò attivamente alla stesura del Patto di Roma tra socialisti, comunisti e democristiani e alla ricostituzione del sindacato democratico. Si canta Bella Ciao e si si contano, battendo le mani, i cento passi di Peppino Impastato, ci si commuovo ad ascoltare la storia di Claudio Cavaliere ex minatore in Belgio che scandisce, con la voce incrinata, italiani e provenienti da Paesi africani «eravamo tutti ugualmente neri di carbone». Si ascolta in silenzio la testimonianza di Sara Campiglio, la professoressa di Varese accoltellata da un suo studente che, però, continua a pensare che bisogna accorciare le distanze con chi è in difficoltà anche quando una mano troppo vicina arriva a colpirti. Ci si vergogna a guardare le scarpe che Silvia Maraone, con la cooperatrice Ipsia-Acli distribuiscono ai migranti che arrivano dalla rotta balcanica ai quali i trafficanti, come estremo atto di sfruttamento, lasciano i piedi nudi nelle ultime miglia prima della salvezza.
Tra le note dell’inno nazionale, il ricordo del contributo dato alla Costituente, dell’anima popolare, dei santi minori, dei dialoghi sul pianerottolo, gli aclisti si ritrovano per il loro 27 esimo Congresso e mettono a tema “Il coraggio della pace”. Lo fanno anche con le parole del presidente Emiliano Manfredonia che, dopo aver salutato il Capo dello Stato, sottolineando che «la sua persona rappresenta con la più alta dignità l’unità nazionale nella Repubblica, quella Repubblica che le Acli, gli aclisti, in questi ottant’anni, hanno sempre cercato di promuovere, sostenere, rafforzare», analizza il tempo storico in cui viviamo. «Oggi», dice, «ci raggela il cuore vedere come tanti fratelli muoiono nel Mediterraneo, ci fa arrabbiare vedere rinnovate le ingiustizie tra i pochi che accumulano rendite e chi non riesce a trovare un lavoro decente. Ci lascia inquieto un mondo dove i giovani vengono parcheggiati e non possono scatenare i propri talenti. L’ingiustizia creata dalla finanza speculativa ci fa orrore. Siamo spaventati dei gemiti di sofferenza della nostra madre terra. Siamo preoccupati da un mondo nel quale le differenze sono diventate diffidenze, nel quale è presente un forte pessimismo sul progresso sociale ed economico garantito dalla democrazia. Ci offusca la vista la costruzione di nuovi muri che separano le persone». Ma è proprio in questo contesto che le Acli vogliono gridare a tutti di avere coraggio. «La parola coraggio vuol dire proprio l’azione del cuore. Dobbiamo far funzionare il cuore, amare questa società, darle fiducia oltre ogni limite e difficoltà. In questo tempo sentiamo fortemente che occorre coraggio anche a costo di andare controcorrente». Soprattutto non è più tempo di «mediazioni al ribasso, ma è il tempo di stare in questo mondo portando fraternità dove c’è divisione, agendo la solidarietà dove c’è solo la rendita personale, è il tempo di scelte consapevoli personali e comunitarie per correggere le nostre abitudini che hanno violentato il pianeta. Coraggio nell’appoggiare sistemi democratici favorendo la partecipazione».
È il tempo, scandisce Manfredonia di «avere il coraggio della Pace. Sentiamo che di fronte al proliferare delle guerre e alla fatica di interromperle, la nostra Europa ha un compito importante. Può e deve assumere una responsabilità su scala globale. La Russia ha compiuto un’aggressione intollerabile contro un Paese e un popolo. La nostra condanna è senza riserve. Come lo è il nostro sostegno, anzitutto umano, fraterno, alla resistenza degli ucraini. Hamas si è resa artefice di una barbarie mostruosa il 7 ottobre scorso, che ha riacceso il conflitto nella Terra santa e che ha ancor più ingigantito i giacimenti già colmi di odio. La reazione di Israele è stata spietata, disumana. Il disprezzo per le vite innocenti è divenuto elemento di una folle strategia politica. Nulla di tutto questo ci sfugge. Non chiudiamo gli occhi davanti alle responsabilità gravissime di chi si fa aggressore». In questo contesto, aggiunge, «non ci basta reagire cercando la misura – militare o economica – proporzionata alle spaventose offese al diritto internazionale, alla libertà, all’integrità degli Stati, alla vita dei popoli. Sentiamo di dover tornare a gridare la “pace”. Non per equidistanza. Non ci sarà mai equidistanza tra aggressori e aggrediti. Mai. Ma dobbiamo dirlo: la vittoria non sarà mai militare. Dobbiamo dirlo perché è vero, ce lo dimostra questo rotolare precipitoso dei conflitti. Dobbiamo farlo sapendo che è difficile. Che si deve lavorare su molti fronti. Chiediamo, e abbiamo chiesto con molte associazioni amiche che l’Europa ritrovi la diplomazia della Pace. Non siamo ingenui: pace non sarà mai soltanto assenza di conflitto armato eppure da lì bisognerà cominciare, dalla tregua, dal silenzio delle armi. Se non riprendiamo la bandiera della pace (che è per le Acli la nostra seconda bandiera), se non diciamo chiaramente che la sola vittoria è la pace, rischiamo di alimentare quell’escalation a cui, purtroppo, già stiamo assistendo».
Sull’esempio del magistero di papa Francesco, le Acli si sono messe in movimento, «siamo andati in Ucraina, siamo andati in Terra Santa, abbiamo ascoltato la voce di tutti, soprattutto delle vittime, le meno ascoltate rispetto a chi ha occhi fissi sulla scacchiera dei potenti. Nella cultura ebraica si dice che Dio sa contare fino ad 1. Fino ad uno, in Israele come a Gaza, in Ucraina come in Russia, in Sud Sudan come nello Yemen. E ancora uno e uno, tutti per nome». E ricorda le parole di Mattarella, che «disse nei primi momenti di questa sciagurata guerra che prima o poi l’Europa avrebbe dovuto rimettersi all’opera per tessere una nuova Helsinki. È lì che dobbiamo tendere partendo anche dal basso per lavorare ad una cultura di cooperazione, di rispetto, di confronto, di condivisione dei diritti. Perché non arrivare ad un nuovo trattato di Helsinki? Magari a Roma durante il Giubileo della speranza. Vogliamo che il 2025 sia l’anno della Pace».
Senza la pretesa di cambiare il mondo, le Acli vogliono continuare a sporcarsi e mani con la storia di ogni giorno, farsi «domande di senso», facendosi «ferire dall’umanità e rimboccandosi le maniche per curarla».
Infine ricorda le parole del presidente Grandi che le Acli vorrebbero continuare a mettere in pratica per i prossini 80 anni: «Non so se faremo un tentativo destinato a fallire o se faremo un esperimento di portata storica. Abbiamo il merito di aver affrontato un grande compito».