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L’indagine di WeWorld: il dramma delle lavoratrici agricole immigrate tra ricatti e violenze sessuali

La piaga dello sfruttamento agricolo è sempre più diffusa in Italia: nel 2018 un bracciante su 6 era sfruttato, di questi l’80% erano migranti. Dopo l’atroce vicenda del giovane indiano Satnam Singh, è tornata prepotentemente sotto i riflettori della cronaca, dell’opinione pubblica e della politica.

La Ong WeWorld, impegnata nel nostro Paese e in numerose nazioni del mondo per la difesa e la promozione dei diritti delle donne, dei bambini e delle comunità locali, ha raccontato il dramma del caporalato e dello sfruttamento dei braccianti nel agricoli in quattro rapporti realizzati nell’ambito del progetto “Our Food Our Future” con Marco Omizzolo – sociologo, scrittore e ricercatore Eurispes, esperto di migrazioni e diritti umani – e con altri ricercatori, pubblicati negli ultimi due anni che, proprio a partire dall’Agropontino, hanno toccato anche le campagne della Piana del Sele in Campania, in provincia di Salerno, e la Toscana.

La ricerca di WeWorld si è concentrata in modo particolare sula situazione delle donne, le lavoratrici, nella filiera agro-alimentare, con testimonianze dirette che fotograno la condizione di assenza di sicurezza, precarietà, mancanza dei diritti basilari in molte aziende agricole. «Ogni tanto c’era anche qualche infortunio. Io stessa sono caduta varie volte dal trattore, oppure nei canali che circondavano la terra ma non ci sono mai state denunce, ricoveri in ospedale e nessuna di noi è mai stata portata al Pronto Soccorso. Non si va mai al Pronto Soccorso o se vai il padrone ti dice che devi dichiarare di esserti infortunata a casa», racconta una bracciante indiana intervistata assieme a Marco Omizzolo proprio nelle terre dove si è consumata la tragedia di Satnam Singh. 

Nelle campagne dell’Agropontino, le lavoratrici indiane, rumene, nigeriane raccontano giornate lavorative di 16 ore, 7 giorni su 7, per 4,5-5 euro all’ora. Si lavora in ginocchio, con pause ridottissime, con pressione costante da parte dei caporali o dei datori di lavoro, in certi periodi a temperature altissime, insostenibili, respirando i pesticidi senza alcun dispositivo di protezione. Le donne, poi, rispetto agli uomini sono ancora più vulnerabili, ricattabili, sottoposte a varie forme di violenza e persecuzione. Ancora peggiore è la condizione delle braccianti indiane che hanno figli, perché subiscono ulteriori forme di ricatto e violenza proprio in quanto madri.

«Abbiamo raccontato il fenomeno con lo sguardo femminile (braccianti agricole immigrate sono cresciute del 200% in dieci anni, dal 2028), dove la discriminazione razziale si salda a quella di genere, e alle violenze perpetrate verso gli uomini si aggiungono quelle sessuali: dagli insulti, ai palpeggiamenti, agli stupri. Uomini e donne trattati come strumenti, oggettivizzati in un sistema di vera subordinazione patronale, discriminazione, violenza. Nelle diverse forme di sfruttamento il controllo, il silenzio, l’umiliazione, l’intimidazione, il ricatto rappresentano strumenti generalizzati di pressione e repressione tese a rafforzare l’isolamento ed evitare forme di ribellione», dichiara Margherita Romanelli, coordinatrice programmazione strategica, advocacy e partnership di WeWorld.

La morte di Satman Singh e il dramma di tante lavoratrici e lavoratori stranieri si inseriscono nel contesto di un sistema economico estrattivista – commenta WeWorld – basato su riduzione all’osso dei costi, razzismo e discriminazione degli immigrati, che vivono spesso in una condizione di ghettizzazione ed emarginazione, quindi di maggiore debolezza, a causa delle barriere culturali e linguistiche. A tutto questo, sottolinea la Ong, si unisce la connivenza culturale delle comunità dei migranti che tollerano i meccanismi di sfruttamento lavorativo. 

WeWorld chiede «interventi diretti e decisi per condannare e sradicare lo sfruttamento di tutte le persone nei posti di lavoro con l’aumento delle risorse per assicurare maggiori controlli, una più efficace applicazione della legge sul caporalato e sulla sicurezza sul lavoro, un effettivo meccanismo che condizioni l’erogazione di finanziamenti in agricoltura all’osservanza di leggi sui diritti del lavoro ed umani in linea con la nuova Politica Agricola Comune. È urgente assicurare una completa protezione per chi denuncia e per le vittime. Inoltre, è necessario rivedere il quadro legislativo sull’immigrazione che deve essere teso a tutelare i diritti e la dignità in particolare di lavoratori e lavoratrici marginalizzati e più vulnerabili. Il Governo si adoperi anche per una legge italiana ambiziosa che recepisca la recente direttiva sulla dovuta diligenza d’impresa in materia di diritti umani (CSDD), capace di prevenire ogni forma di sfruttamento e assicurare un più completo risarcimento delle vittime». Tutto questo con il coinvolgimento della società civile, delle associazioni dei migranti, dei sindacati, delle istituzioni e comunità locali. 

(Foto di Vincenzo Montefinese per WeWorld)





Dal sito Famiglia Cristiana

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