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Il Sinodo “in dirittura d’arrivo”


Oggi il consueto briefing nella Sala Stampa vaticana sulle ultime giornate di lavoro dell’assise. Resa nota la consegna di oltre mille “modi” riguardo al progetto del Documento finale. Focus sui vescovi nell’intervento del cardinale Prevost: quando “si parla della loro autorità si parla essenzialmente di servizio”

Roberto Paglialonga e Lorena Leonardi – Città del Vaticano

Al Sinodo “siamo in dirittura d’arrivo”. Lo ha affermato Sheila Pires, segretario della Commissione per l’informazione, all’inizio del briefing di oggi, mercoledì 23 ottobre, nella Sala Stampa della Santa Sede riferendo dei lavori dell’assise, giunti alle loro battute finali prima della lettura e dell’approvazione del Documento finale, prevista per sabato 25. “Alle 12.30 di oggi sono stati presentati più di mille modi” riguardo al progetto del testo, ha detto. Quindi questa fase di proposta degli emendamenti “è terminata”.

“Modi” individuali e collettivi

“Ieri pomeriggio e stamani i lavori sono proseguiti nei Circoli minori” proprio “per l’elaborazione dei modi ossia gli emendamenti sul progetto di Documento finale e i partecipanti al Sinodo hanno avuto tempo fino alle 12.30 di oggi per presentare i modi alla Segreteria generale”. Si tratta, ha spiegato Pires, “dei modi collettivi, approvati per consenso dai membri di ciascun tavolo, con la maggioranza di 50+1. Ciascuno – ha aggiunto – aveva anche la possibilità di presentare modi individuali alla Segreteria”. Degli oltre mille modi presentati alla Segreteria generale del Sinodo, ha riferito Pires, 951 sono collettivi, e cioè da parte dei Circoli minori, e un centinaio sono individuali. “L’anno scorso erano stati presentati un totale di circa 1.200 modi”.

Il videomessaggio ai giovani e il rinnovo del Consiglio

Durante il briefing è stato inoltre mostrato un breve videomessaggio del Papa (le cui parole sono pubblicate in questa stessa pagina), realizzato, ha detto Pires, da alcuni giovani partecipanti al Sinodo. Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione e presidente della Commissione per l’informazione, ha resto noto che “oggi pomeriggio ci saranno le votazioni per il rinnovo del Consiglio ordinario, struttura permanente della Segreteria generale del Sinodo, presieduto dal Santo Padre. Ogni decisione rilevante passa normalmente attraverso questo organismo che lavora in particolare alla preparazione del Sinodo successivo”. “I membri del Consiglio ordinario – ha spiegato Ruffini – entrano in carica al termine dell’Assemblea generale ordinaria che li ha eletti. Sono membri della successiva Assemblea generale ordinaria e cessano il loro mandato allo scioglimento di quest’ultima”.

Inoltre, ha proseguito Ruffini, “ieri il cardinale segretario generale Mario Grech ha annunciato che rispetto all’Istruzione vigente è stata apportata – d’accordo con il Santo Padre – una modifica che porta a 17 il numero complessivo dei membri, di cui 13 da eleggere tra i vescovi diocesani o eparchiali, membri di questa Assemblea: uno dalle Chiese orientali cattoliche, uno dall’Oceania, due rispettivamente dall’America settentrionale, dall’America latina, dall’Europa, dall’Africa e dall’Asia. A costoro si aggiungeranno quattro membri di nomina pontificia e, a suo tempo, il capo del Dicastero della Curia romana competente per il tema del prossimo Sinodo”.  

Dunque, “le giornate di domani, giovedì, e di dopodomani, venerdì, saranno dedicate all’inserimento dei modi e alla redazione del Documento finale da parte delle persone che ne sono incaricate. Tutti i membri si ritroveranno sabato mattina e pomeriggio per le due ultime congregazioni generali. Ci sarà la lettura del Documento finale in Aula la mattina e nel pomeriggio l’approvazione e i saluti”.

La dichiarazione del cardinale eletto Radcliffe

Ruffini ha, quindi, annunciato la distribuzione ai giornalisti di una dichiarazione del cardinale eletto Timothy Radcliffe “in risposta ai commenti che hanno fatto seguito alla risposta del cardinale Ambongo a una domanda durante la conferenza stampa del 22 ottobre”. In particolare Radcliffe “desidera chiarire i seguenti punti: la risposta del cardinale Ambongo non si riferiva all’articolo pubblicato su L’Osservatore Romano, ma a quello di Phil Lawler su Catholic Culture del 17 ottobre. Questo è l’articolo che il cardinale mi ha mostrato sul suo telefono e di cui abbiamo parlato”. Inoltre, prosegue la dichiarazione di Radcliffe (secondo punto), “la lettura di Lawler dell’articolo de L’Osservatore ha frainteso ciò che avevo scritto. Non ho mai scritto o suggerito che le posizioni assunte dalla Chiesa cattolica in Africa fossero influenzate da considerazioni finanziarie. Riconoscevo solo che la Chiesa cattolica in Africa è sottoposta a una fortissima pressione da parte di altre religioni e chiese che sono ben finanziate da fonti esterne”. Infine, terzo punto, Radcliffe conclude: “Sono molto grato al cardinale Ambongo per la sua esplicita difesa della mia posizione”.

Il dono del Papa

In conclusione il vice direttore della Sala Stampa vaticana, Cristiane Murray, che ha moderato il briefing, ha riferito che il Santo Padre ha regalato a tutti i partecipanti al Sinodo un libro del sacerdote Luis Miguel Castillo Gualda su sant’Agostino e la sua concezione del vescovo nel popolo di Dio, tema toccato tante volte in questo processo sinodale.

L’autorità dei vescovi

Sono seguiti quindi gli interventi dei diversi ospiti. Anzitutto il cardinale Robert Francis Prevost, prefetto del Dicastero per i Vescovi, che si è concentrato proprio sulla figura e sul ruolo dei pastori: quando “si parla di autorità dei vescovi si parla essenzialmente di servizio”, ha detto il porporato agostiniano. Che, invitato a dar conto sul lavoro dei pastori nelle loro diocesi, ha spiegato come su questo molta attenzione, nelle discussioni dell’assemblea, “sia stata legittimamente data al processo di selezione dei vescovi”. In effetti, ha spiegato, i criteri che portano a una determinata scelta sono contenuti nelle istruzioni che vengono consegnate ai nunzi apostolici: questi hanno già ora la possibilità di raccogliere informazioni, “parlando non solo con il clero diocesano, ma anche con i religiosi e i laici, al fine di identificare i migliori candidati possibili”.

Cambiare strutture di potere

Quanto alle funzioni e ai ruoli, poi, il cardinale ha chiarito come i vescovi non debbano vederli schiacciati solo sugli aspetti di gestione burocratica e amministrativa: “Anzi, essi sono principalmente i pastori del popolo di Dio, ed è con questo e in mezzo a questo che sono chiamati a lavorare con gioia”. Certo, spesso, ha ammesso, si percepisce una “tensione tra il loro essere pastori e talvolta anche giudici, per esempio nelle questioni che riguardano la tutela dei minori”. In ogni caso, ha detto ancora, “il vescovo non può trascurare le attività pastorali, e deve conoscere effettivamente il suo popolo, per esempio trovando il tempo di sedersi con i consigli delle parrocchie per capire quali siano le necessità e i desideri di una determinata comunità”. Infine, il vescovo deve cercare i modi per raggiungere chi si trova ai margini della Chiesa o da essa è distante: “Tutti, tutti, tutti”, Prevost ha richiamato l’espressione di Papa Francesco alla Gmg di Lisbona, sottolineando come sia “nostro compito allargare la nostra tenda e far capire che tutti sono benvenuti dentro la Chiesa”. L’unica autorità è dunque il servizio, ha rimarcato ancora: e “perché questo accada occorre anche cambiare alcune strutture di potere per renderle più vicine ai bisogni della diocesi”.

Processo di reset

In effetti, è intervenuta Myriam Wijlens, docente di Diritto canonico presso la facoltà di Teologia cattolica dell’Università di Erfurt, in Germania, “Papa Francesco ci ha chiesto con questo Sinodo di entrare in un processo di reset o riconfigurazione, per ottimizzare i nostri compiti missionari, alla luce del contesto che viviamo e dei carismi di ciascuno. Solo così potremo individuare una missione più credibile ed efficace”. E in tal senso, è “interessante notare come il popolo di Dio fin dall’inizio del processo sinodale abbia chiesto un intervento pure sulle strutture canonistiche”. Per esempio, dal Sinodo è emersa una chiamata ad avere “incontri ecclesiali a tutti i livelli: dalla richiesta di rendere permanenti i consigli pastorali parrocchiali, al ruolo dei consigli provinciali plenari, ma anche delle assemblee continentali”. E poi, “molto importante – ha chiosato – è l’aspetto della accountability, della responsabilità, trasparenza e valutazione: fin dal 2021 il Sinodo ha rafforzato la consapevolezza che i fedeli sono uniti insieme. È una accountability reciproca, che diventa perciò una prospettiva teologica, non solo sociale: tutto ha a che fare con gli aspetti pastorali, non solo con le questioni che riguardano, per dire, la tutela dei minori o la corretta gestione finanziaria”.

Il ruolo delle Conferenze Episcopali

Quanto all’autorità dottrinale delle Conferenze Episcopali, il sacerdote canadese Gilles Routhier, professore alla Facoltà di Teologia e Studi religiosi dell’Université Laval (Québec), ha ribadito come questa non sia “una novità di questo Sinodo, e che essa non vada assolutamente interpretata come un’autorità assoluta”. Le Conferenze Episcopali, per esempio, non possono dichiarare nuovi dogmi. “La loro è piuttosto un’autorità che si esprime all’interno di determinati limiti: ovvero sempre nella comunione con le altre Chiese e con la Sede di Pietro”. Se tale autorità viene guardata in questa prospettiva, ha detto ancora Routhier, “tutto diventa semplice: vuol dire che i vescovi sono chiamati a implementare il magistero, e a insegnare la fede autentica, inculturandoli nello specifico territorio e popolo di cui sono pastori”.

Padre Khalil Alwan, testimone del processo sinodale per le Chiese Orientali e il Medio Oriente, ha sottolineato come sia stata molto apprezzata la possibilità di partecipazione offerta per la prima volta anche ai non vescovi e ai laici: “Questa – ha detto – è stata la migliore dimostrazione del sensus fidei generale”. In particolare, poi, nell’attivo coinvolgimento delle Chiese sui iuris e dei loro rappresentanti, è stata riscontrata e sperimentata la bellezza della diversità nell’unità della Chiesa universale. Ciò, ha aggiunto Alwan, “ha aiutato a costruire ponti di dialogo e relazioni”. Inoltre, emozione ha provocato l’incoraggiamento alla speranza – “che non è un ottimismo superficiale” – proveniente da tanti segni manifestati dal Papa verso tutti coloro che vivono situazioni di dolore per il conflitto in Medio Oriente: “La lettera ai cattolici del Vicino Oriente, il 7 ottobre scorso; la messa di canonizzazione degli 11 martiri di Damasco; la costante attenzione per la vita e le sofferenze dei cristiani d’Oriente; il messaggio per chiedere che la comunità internazionale si impegni affinché si giunga al cessate-il-fuoco”.

Tensioni e polarizzazioni

Spazio, come di consueto, è stato poi riservato alle domande dei cronisti. Al prefetto Prevost è stato chiesto in che misura il Sinodo può aiutare a ridurre tensioni e polarizzazioni: “Credo che ciò che viviamo nella Chiesa – ha risposto – sia il riflesso di ciò che viviamo nella società oggi”. Alcuni temi che “rientrano in un quadro più ampio” sono stati messi nelle mani dei gruppi di studio e “non possiamo aspettarci soluzioni istantanee”. D’altro canto, ha proseguito, “il Sinodo ha a che fare con la spiritualità”; è un nuovo modo di fare le cose nell’ambito della Chiesa, un modo per “sederci insieme parlandoci senza violenza, senza odio» e così “superare tensioni che possono esistere nell’ambito della Chiesa o fuori di essa”.

Funzioni delle Conferenze Episcopali

Sollecitato sulla possibilità che le Conferenze Episcopali stabiliscano nei loro territori una dottrina non conforme al Magistero, il porporato ha evidenziato prima di tutto alcune diversità nelle traduzioni dell’Instrumentum Laboris, perché “in inglese sembra suggerire che le Conferenze hanno autorità dottrinale specifica, senza definire cosa sia, mentre in italiano e spagnolo si parla di ‘qualche autorità’”. Su questo punto “c’è stato un grande dibattito in seno al Sinodo” e alla fine i vescovi sono chiamati a “insegnare”. Rispondendo alla possibilità che alcuni episcopati possano decidere di avvicinarsi a un documento in un determinato modo – in riferimento alla domanda, nella quale veniva citata Fiducia supplicans – il cardinale Prevost ha chiarito che i vescovi della Conferenza Episcopale avevano dato conto di una situazione culturale specifica, in Africa, che «non permetteva l’applicazione di questo documento”, laddove, ad esempio, è prevista la pena di morte per chi vive relazioni omosessuali. “Siamo in mondi completamente diversi – ha riflettuto – e queste differenze sono a motivo del fatto che le Conferenze episcopali devono avere una certa autorità rispetto a dire come realizzeranno una cosa nella realtà in cui vivono”. A tal proposito Wijlens è intervenuta rimarcando che “nel Diritto canonico esiste lo jus remostrandi, ossia il principio per cui un vescovo o in una Conferenza possono dire ‘grazie ma questa cosa non funziona per il nostro territorio’”.

Sinodalità e primato

Stimolato su eventuali conflitti tra sinodalità e principio del primato, il cardinale Prevost ha ribadito che “sinodalità non significa che diventiamo un’assemblea democratica che esercita la propria autorità nella Chiesa; il primato è di Pietro e del suo successore, il Papa, che consente alla Chiesa di continuare a vivere la comunione in modo molto concreto”. Ha poi riferito di un aneddoto sentito al Sinodo: alcuni “monaci buddisti, giunti a Roma per incontrare il Santo Padre, hanno ammesso di essere un po’ gelosi perché in nessun’altra parte del mondo si trova l’esperienza di una comunità mondiale basata su un principio di unità espresso in modo così chiaro”. Certamente, ha aggiunto, “dobbiamo fare attenzione: il Papa ha autorità su tutta la Chiesa ma ha chiarito che il suo ministero è a servizio degli altri e ritiene che l’approccio all’esercizio del servizio nella Chiesa, se sinodale, rende possibile, a chi si trova a guidare gli altri, di comprendere in modo chiaro come esercitare tale autorità. La sinodalità dunque, pur avendo un grande impatto, non toglie nulla al primato”.

In merito, Routhier ha chiosato che “il testo di una Congregazione, se non è autorizzato in forma specifica dal Papa, appartiene al Dicastero e non al Magistero”, quindi eventualmente “non è il Magistero che viene contestato». Inoltre «ci sono delle specificità – le Chiese orientali ne sono testimoni – ma bisogna restare nell’unità nella diversità”. Spesso, ha proseguito, “i Concili sono stati convocati per questo, e il Sinodo scommette su questo: se si sa dialogare e ascoltare allora si possono superare le divisioni, se si resta nell’uniformità si rischia di frammentarsi”.

Nuova energia

Rispondendo a una domanda sul ruolo dei vescovi in Amazzonia, che in alcuni casi sembrerebbero non sostenere il lavoro dei laici nella pastorale sociale, Prevost ha risposto che “il Sinodo incoraggia tutti i vescovi a rispondere alle esigenze specifiche in ogni area». A proposito dell’esigenza che le Conferenze Episcopali – in particolare in riferimento a quella canadese, citata nella domanda – guardino alla dimensione pastorale, e sulla misura in cui il Sinodo può  far sentire più forte la voce dei vescovi, Routhier ha dichiarato che “se si vuole dare una nuova energia alla Conferenza Episcopale è per annunciare il Vangelo inculturato nella vita cristiana. Se non hanno questa competenza non potranno evangelizzare, non è solo una questione tecnica”.

Assemblee continentali

A un interrogativo sulle assemblee continentali, e sulla possibilità, dal punto di vista canonico, di renderle obbligatorie, Myriam Wijlens ha risposto sottolineando la forza delle strutture continentali asiatiche e americane rispetto, ad esempio, al contesto europeo. Ha poi riferito la propria esperienza, come redattrice del documento di Praga (“Siamo stati in grado di riunire 39 Conferenza Episcopali e scrivere un documento in 4 giorni”) e quando, prima del Sinodo, ha incontrato altri quattro partecipanti: “Abbiamo scelto l’Austria come luogo di incontro centrale, e ci siamo ascoltati reciprocamente, tutti in grado di mostrare paure, ferite e speranze”.

I nunzi apostolici

Infine, sul meccanismo di selezione dei vescovi, Prevost ha chiarito il ruolo fondamentale del nunzio apostolico, che “guarda alla scena locale e individua il candidato migliore”. Oltre all’odore delle pecore, un criterio “significativo ma non l’unico” è la leadership, perché “in una comunità possono esserci buoni sacerdoti ma senza un leader questi girano in circolo”. Ancora, ha aggiunto, il candidato deve “voler vivere il Vangelo per essere parte della missione della Chiesa: la fede, la vita di preghiera, un senso di spirito in comunione con tutte le persone di buona volontà, sono criteri fondamentali – ha concluso – per capire chi possa essere preso in considerazione per la nomina a vescovo”.

Clima di preghiera

A un’ultima domanda, sul metodo sinodale, Ruffini ha chiarito che è sempre lo stesso, quello delle conversazioni nello Spirito: “C’è clima di preghiera, libertà e ascolto, in cerca di consenso. Tutto avviene in modo molto più semplice di quanto si possa immaginare, anche quando le posizioni sono diverse, si è alla ricerca, nel discorso dell’altro, di quel pezzo di verità che ciascuno di noi sa di non possedere del tutto”.



Dal sito Vatican News

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