Il Piano Marshall evopcato da Mario Draghi come presupposto per il rilancio dell’Europa fu un capolavoro politico, economico e, perché no, diplomatico. Ottimo per il suo potere di suggestione, copme ha fatto Draghi, ma qualcosa che difficilmente si potrebbe replicare oggi, in un mondo dove l’egoismo delle nazioni spesso si nasconde dietro il paravento delle buone intenzioni e dove l’altruismo, se mai esistito, rischia di essere un’utopia. Innazi tutto va inserito in un contesto storico ben preciso e ben diverso. Nel 1947 l’Europa era ridotta a un cumulo di macerie, fisiche e morali. E gli Stati Uniti, guidati da un pugno di uomini con la testa sulle spalle, capirono che non c’era tempo da perdere. Se avessero lasciato il Vecchio Continente al suo destino, si sarebbero ritrovati con una gigantesca polveriera sotto i piedi. Così decisero di agire. E i capi di Stato della Nuova Europa abbracciarono con grande preveggenza la strategia atlantica statunitense, a cominciare da Alcide de Gasperi e Kopnrad Adenauer. Il risultato fu quello di tenere alla finestra della cortina di ferro il comunismo sovietico che avrebbe trasformato l’Europa in un insieme di Stati satelliti di Mosca, con regimi sostanzialmente totalitari. Il Piano Martshall dunque come propellente della democrazia.
Non bisogna nemmeno credere, però, che lo fecero per pura filantropia. Il Piano Marshall non era solo una brillante mossa di scacchi ma anche una sagace messa in opera keynesiana. Si trattava di investire in Europa per evitare che questa cadesse nelle braccia dell’Unione Sovietica e creare un mercato a vantaggio degli Stati Uniti. Era una partita a tutto campo: l’America contro l’URSS, il capitalismo contro il comunismo. L’Europa era il campo di battaglia, e i paesi europei, volenti o nolenti, erano i pedoni di questa partita economica. L’allora segretario di Stato George Marshall, un generale che aveva la lucidità del soldato e la finezza del diplomatico, fu il volto pubblico di questa operazione colossale, annunciando il piano in un discorso all’Università di Harvard il 5 giugno 1947. Ma i veri protagonisti erano altri, quelli nascosti dietro le quinte del potere americano, quelli che già allora pensavano in termini di atlantismo e di Guerra Fredda.
Il piano prevedeva di pompare nell’Europa occidentale circa 13 miliardi di dollari, una cifra che a quei tempi faceva girare la testa. Ma attenzione: non si trattava solo di regalare soldi. Quei fondi avevano delle precise condizioni. I Paesi che li accettavano dovevano abbracciare l’American way of life. Non si trattava solo di ricostruire fabbriche e ponti, ma di imporre un modello economico e politico, fatto di democrazia, mercato e, soprattutto, consumo. Era un piano non solo per rilanciare l’economia, ma per colonizzare l’anima dell’Europa, instillando nei suoi popoli il desiderio di vivere come gli americani, con la loro Coca-Cola, le loro automobili e i loro frigoriferi pieni. E infatti i fondi arrivarono sotto forma di materie prime e beni imessi sui mercati europei a fondo perduto.
La logica di tutto ciò era semplice: un’Europa forte economicamente sarebbe stata un baluardo contro l’espansione del comunismo. L’Unione Sovietica non stava certo a guardare con le mani in mano, ma Stalin capì subito il gioco e rifiutò categoricamente gli aiuti, trascinando con sé tutti i Paesi della sua orbita. Così, il Piano Marshall finì per ricostruire l’Europa occidentale, lasciando quella orientale nelle mani di Mosca. Una spaccatura che avrebbe segnato il destino del continente per i successivi quarant’anni.
Ma, sia chiaro, il Piano Marshall non fu una mano santa solo per gli europei. Gli americani ci guadagnarono, e parecchio. Grazie agli aiuti, i loro prodotti industriali inondarono l’Europa, consolidando la supremazia economica degli Stati Uniti sul resto del mondo. E non dimentichiamo che quei dollari servirono anche a costruire alleanze strategiche, cementando il blocco occidentale in chiave antisovietica.
Certo, il piano fu anche un successo straordinario per l’Europa stessa. Con quei soldi e quelle risorse, i Paesi europei cominciarono a cooperare come non avevano mai fatto prima. Nacque l’OECE, il precursore dell’attuale OCSE, e si gettarono le basi per quella che sarebbe diventata l’Unione Europea. Senza il Piano Marshall, probabilmente l’Europa sarebbe rimasta un continente di rovine, facile preda delle ambizioni di Mosca. Il richiamo di Mario Draghi è dunque del tutto coerente con lo spirito europeo.