L’Italia raccontata da Vittorio Brumotti mette i brividi. Va a scovare le piazze di spaccio di droga più impenetrabili, smaschera i furbetti che parcheggiano abusivamente negli spazi riservati ai disabili, denuncia le opere pubbliche incompiute costate una montagna di denaro (nostro). E le prende (quasi) sempre: botte, insulti verbali, intimidazioni, minacce.
Campione da Guinness di bike trial, inviato in bici di Striscia la notizia, giunta quest’anno alla trentasettesima edizione e in onda ogni sera alle 20.35 su Canale 5, mentre, da dodici anni, non consecutivi, durante l’estate è al timone di Paperissima Sprint.
Brumotti, lei è un po’ come Dottor Jekyll e Mr. Hyde. D’inverno fa riflettere, d’estate fa ridere.
«Striscia è la voce del popolo, degli ultimi, di chi non ha la forza, il potere e le conoscenze giuste per farsi sentire. Una formula vincente messa in piedi da Antonio Ricci e temutissima dai cattivi – boss, disonesti, violenti – che non vogliono che si parli di loro in Tv. Paperissima Sprint è vincente per la sua leggerezza. Io, Marcia, Valentina e il Gabibbo, con le nostre gag divertenti, strappiamo alla gente a casa una risata».
“100% Brumotti” è il suo soprannome. Che significa?
«Incarna il mio stile di vita energico e positivo. Chi come me pratica il freestyle (una disciplina ciclistica creativa con acrobazie e salti, ndr) è pieno d’adrenalina, entusiasta della vita, va più veloce degli altri e ha bisogno di una valvola di sfogo. Se non avessi praticato questo sport sarei finito male come è successo a tanti altri ragazzi che si sono persi per strada a causa delle difficili condizioni familiari e sociali. Lo sport ti dà una disciplina e aiuta a fare ordine nella propria vita».
Quando arriva a Striscia?
«Nel novembre 2008, ovviamente a bordo della mia bici. All’inizio denunciavo soprattutto gli sprechi pubblici, le opere incompiute per le quali abbiamo speso così tanti soldi che avremmo risanato il debito pubblico e le meraviglie artistiche da tutelare a fianco del FAI (Fondo Ambiente Italiano, ndr) di cui poi sono diventato ambasciatore».
Poi arriva a occuparsi di criminalità organizzata e droga.
«Era il 2017. Primo servizio sullo spaccio di Corso Como a Milano, la zona della movida giovanile. Il giorno dopo la messa in onda arrivarono in redazione centinaia di messaggi di complimenti e d’incoraggiamento ad andare avanti. Le mamme mi chiamavano disperate: “Mio figlio non va a scuola, gli ho trovato nascosti un bilancino e un sacco di banconote”. E così mi aiutavano a risalire allo spacciatore della zona e, da questo, alla piazza di spaccio. Le mamme e i cittadini onesti sono i miei occhi e orecchie sul campo».
Come prepara questi servizi?
«A volte faccio anche una settimana di appostamenti e raccolgo le segnalazioni anonime di tante persone che si sentono abbandonate dallo Stato e mi forniscono dettagli preziosi. Io non sono un giornalista né mi sostituisco alle forze dell’ordine. Sono un cittadino normale che utilizza il potere mediatico di Striscia per denunciare e accendere un faro. Quando mandiamo in onda le immagini di alcuni boss che spacciano, gli inquirenti acquisiscono il materiale e iniziano a indagare».
Quali sono le piazze di spaccio più terribili?
«Le periferie delle grandi città sono quelle dove i minori vengono reclutati con più facilità. Sono come i bambini soldato dell’Asia o dell’Africa. Non vanno a scuola e gli viene inculcato che il loro obiettivo di vita sia avere il borsello e le scarpe firmate. Invece dovrebbero andare a scuola e guardare Paperissima Sprint».
Dove ha trovato più difficoltà a entrare?
«Allo Zen di Palermo nel 2018 hanno tentato di spararmi. Ma la piazza più difficile è quella dei quartieri romani di San Basilio, Quarticciolo e Tor Bella Monaca dove ho fatto diversi servizi. Una volta ero andato a documentare i bambini che spacciavano di notte e hanno tentato di aggredirmi pur essendoci i carabinieri che mi accompagnavano. A San Basilio, dove nel 2017 hanno tentato di spararmi, c’è don Antonio Coluccia, mio amico, che fa un lavoro straordinario e delicato per togliere questi ragazzi dallo spaccio ma spesso la gente del quartiere se la prende con lui. Dove lo Stato latita o è assente, le mafie prosperano. Per questo aiuto le iniziative di don Coluccia e don Ciotti che sono molto importanti».
Vittorio Brumotti, che è campione mondiale di bike trial, nel 2018 dopo aver subito un’aggressione nel quartiere Zen di Palermo durante un’inchiesta sullo spaccio di droga per Striscia la Notizia
Quando ha avuto più paura?
«A dicembre nel Parco Topolino del quartiere di Ponticelli, a Napoli, mi sono dovuto rifugiare nel sottoscala perché la gente voleva linciarmi tirandomi addosso sassi e oggetti. Per liberarmi sono dovuti intervenire i carabinieri».
Cos’aveva scoperto?
«Una grossa piazza di spaccio gestita da un capoclan della camorra. La gente era infuriata perché avevo tirato fuori tutto questo».
Sente molto il peso del suo lavoro?
«Moltissimo. Se sbaglio qualcosa, anche l’indicazione di un luogo, devo offrire pasticcini o focacce a tutta la redazione di Striscia».
Quante aggressioni ha ricevuto?
«Centinaia. Spari a parte, vengo aggredito sia verbalmente che fisicamente. Però vinciamo sempre, a fine puntata sorrido e vado avanti. Io non sono Rambo, sono Vittorio che va in bici e ficca il naso sulle storture di questo Paese. E non dico mai “vergogna” a nessuno. Questo, semmai, lo può dire solo il Gabibbo».
L’ultima aggressione?
«L’estate scorsa ero a cena in una pizzeria di Finale Ligure, la mia città, e ad un certo punto alcuni ragazzi mi urlano contro per i miei servizi sulla droga. Mi dicevano: “Infame”, “Ti devono sparare in fronte”, “Sei uno sbirro”. Io sorridevo ma nessuno, erano in dodici, aveva il coraggio di avvicinarsi per dialogare con me. Ad un certo punto si sono alzati diversi papà e mamme e sono venuti per difendermi e mostrarmi la loro solidarietà. Essere “protetto” dai genitori è stata una gran bella soddisfazione».
L’altro suo bersaglio sono i furbetti che parcheggiano sulle strisce riservate ai disabili.
«Li riconosci subito perché hanno il pass ma non il disabile a bordo. È un vizio trasversale che riguarda molti, anche professionisti. Molti però quando vengono scoperti, pagano la multa, che va da 80 a 200 euro, e se ne fregano finché non gli sbatti davanti una persona che è sulla sedia a rotelle o malato terminale. Noi non facciamo la multa ma li invitiamo pubblicamente ad ammettere la figuraccia».
Che Italia è quella che racconti a Striscia?
«Un Paese che dopo il Covid va troppo veloce. La gente è molto meno paziente, vuole tutto e subito ed è diventata più maleducata. Si litiga tantissimo, anche per un nonnulla. E sono aumentate le rapine. Per fortuna c’è chi si impegna a educare, dalla scuola alle famiglie alle parrocchie. Noi facciamo educazione televisiva per dare l’esempio ai giovani e fargli capire che certe cose non si fanno perché ne vanno di mezzo i più deboli».
Vittorio Brumotti, 44 anni, nel 2009 a San Giovanni Rotondo davanti alle spoglie di san Pio da Pietrelcina con don Antonio Coluccia, 49, il prete anti spaccio nei quartieri difficili di Roma, e padre Gregorio D’Arenzo, scomparso lo scorso aprile a 82 anni
Lei è credente?
«Moltissimo. La fede dà un’identità ed è una bussola per orientarsi nella vita. Ogni sera, mentre faccio stretching prima di andare a dormire, recito 25 volte il Padre Nostro e altrettante l’Ave Maria. E poi posso contare su un amico speciale».
Chi?
«Padre Pio. La prima volta sono andato a San Giovanni Rotondo su consiglio di mio padre che mi aveva detto che era il protettore dei personaggi dello spettacolo. Ma la cosa decisiva accadde dopo».
Racconti.
«Nel 2009 ci fu l’ostensione pubblica delle spoglie del Santo. Il sindaco di San Giovanni Rotondo era un biker come me e quando andai m’invitò a toccare il coperchio in zinco della bara dove era custodito il corpo del Frate. “Se non t’impressiona, fallo”, mi disse. Lo feci e da quel momento ho come avuto una spinta in più, come se avessi più chiaro quale fosse la mia missione. Non è stata un’esperienza mistica ma da quel momento ho visto Padre Pio sotto un’altra luce, come un amico speciale che pur essendo stato osteggiato da molti, anche all’interno della Chiesa, è stato amato da milioni di persone e la sua fama si è diffusa in tutto il mondo, anche quando non c’erano i social. Come se la sua figura stringesse in un abbraccio milioni di vite. Tre anni fa, infine, sono andato in bici da Livigno a San Giovanni Rotondo perché ho ricevuto una grazia».
Di che tipo?
«Non posso dirlo ma le assicuro che è stata grandissima».
In un’intervista a ha detto che il mito a cui si ispira è suo padre Claudio.
«Perché è una persona positiva, un bambinone di 66 anni, che mi ha trasmesso il senso per il rispetto delle regole e la voglia di lavorare. Sotto il mio casco c’è una scritta in dialetto ligure, “figlio di Claudio”. Lui ha un compito importantissimo: non deludermi».
È entrato 12 volte nel Guinness dei primati. Qual è quello a cui tiene di più?
«La scalata del grattacielo Burj Khalifa, a Dubai, con la mia bici. Centossessanta piani e tremila scalini in due ore e venti minuti senza mai fermarmi e appoggiare il piede a terra con una temperatura di 38 gradi».
Il pensiero che fa la sera prima di andare a dormire?
«Cerco di far uscire i cattivi pensieri».