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Chi è Giulio Beranek, l’attore che interpreta un ispettore di poilzia di origine rom nella serie “Gerri” su Rai 1

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Uno sguardo intenso e insieme ironico, con quella bellezza un po’ stropicciata di chi si porta dentro un vissuto sofferto e un animo non superficiale: il volto di Giulio Beranek,  38 anni. figlio di giostrai, padre ceco, madre di origini spagnole annuncia quello che traspare dalla chiacchierata che abbiamo fatto con lui per il suo ruolo da protagonista in Gerri, la nuova serie poliziesca diretta da Giuseppe Bonito che parte su Rai 1 il 12 maggio e tratta dai romanzi gialli di Giorgia Lepore editi da e/o. Gerri Esposito è un ispettore di polizia di Trani con un passato doloroso: è un rom abbandonato a 4 anni dalla madre, il vero nome era Goran, cresciuto in una casa famiglia da un sacerdote. Entrato in polizia, ha trovato nel dirigente della Mobile (Fabrizio Ferracane) una sorta di padre putativo che gli dispensa consigli e copre le sue intemperanze sia sul piano sentimentale sia su quello professionale. I casi che predilige, e in cui si butta con un accanimento che travalica il semplice ruolo dipoliziotto, riguardano donne, bambini, i soggetti più deboli e su cui troppe volte si sfoga la violenza. Al suo fianco la nuova arrivata in questura, la viceispettrice Lea Coen (Valentina Romani), che solidarizza subito con Gerri perché vittima anche lei di pregiudizi essendo ebrea.

Che tipo è Gerri Esposito?

«Un personaggio pieno di ombre, con un passato che si svela pian piano nel corso degli episodi. L’abbandono della madre lo ha bloccato in una sorta di adolescenza perenne: è impulsivo, insofferente alle regole, non riesce a costruire legami stabili con le donne, si rifugia nel cibo spazzatura per colmare il suo vuoto affettivo. Ha un ricordo vago dei suoi primi anni, che lo tormenta, e ha bisogno di capire se almeno per poco è sta to amato dalla madre».

Lei è stato scelto perché ha un vissuto simile a quello di un rom essendo cresciuto in una famiglia di giostrai?

«No, perché sono stato il più bravo ai provini! (ride, ndr). Quello che mi interessa nel mio lavoro è farlo sempre al meglio, al di là del successo. Sono una persona piuttosto schiva e riservata, mi presto a tutto quello che è necessario per promuovere un film o una serie, fa parte del gioco, ma se posso evito di partecipare a eventi pubblici».

I libri di Giorgia Lepore li aveva letti?

«Tutti e quattro e ho anche conosciuto l’autrice, che mi ha detto: “Per me Gerri ha sempre avuto il tuo volto!”. Io ho sempre letto tantissimo, amo in particolare gli autori classici russi, ma anche americani come John Fante e Raymond Carver. Adoro Stefan Zweig, avevo anche pensato di trarre una sceneggiatura da un suo racconto molto originale».

Oltre a leggere, lei scrive?

«Contrariamente a molti miei colleghi non ho nessuna ambizione di diventare un regista, ma sì, ho già tre sceneggiature nel cassetto. E ho anche scritto un romanzo ispirato alla mia vita da giostraio, Il figlio delle rane».

Erroneamente si tende a pensare che i giostrai siano rom?

«E invece non è così, anche se la loro è una professione itinerante. E per non essere confusi con i rom si sono autodefiniti i “dritti”. Fino ai 7 anni ho viaggiato per la Puglia, ogni poche settimane dovevo cambiare scuola, conosco bene quella sensazione di non avere radici in un posto. Poi ci siamo trasferiti in Grecia, sempre con il luna park, e lì eravamo più stabili. Potevo diventare un calciatore, ho militato nelle giovanili dell’Olympiakos, ma la mia carriera è stata fermata da un infortunio».

E al cinema come ci è arrivato?

«Assolutamente in modo casuale. Quando avevo 16 anni eravamo rientrati in Italia, a Taranto, dove ho finito il liceo classico. Ero ancora uno studente quando il regista Alessandro Di Robilant stava cercando un ragazzo per il protagonista del film Marpiccolo. Ha passato in rassegna 4 mila candidati e ha scelto me. Lo spettacolo viaggiante era già un mondo in crisi, e mi sono buttato in questa nuova avventura. L’aiuto regista era Giuseppe Bonito, con cui sono rimasto in ottimi rapporti, tanto che mi ha voluto nel piccolo ruolo di un giostraio in L’arminuta».

Nel primo episodio una ragazza rom a un certo punto dice: «Finché si sta sulla superficie delle cose uno vale sempre l’altro». Anche lei ha avuto esperienza di giudizi superficiali?

«Io ho vissuto a lungo sotto il segno del pregiudizio. La gente si stupiva che nei camper in cui abitavamo avessimo il bagno, per esempio. Quando arrivavamo in una nuova città ci attribuivano le colpe di tutti i furti. È per questo che ho ideato, insieme con Marco Pellegrino, la docuserie I re del luna park, che si può vedere su Sky: si sa poco di questo mondo. Anche i rom sono ancora vittime di stereotipi, e credo che Gerri possa aiutare a scardinare un po’ di questi pregiudizi su di loro».

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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