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L’Italia in lacrime per i tre carabinieri uccisi: “All’intelligenza del male opponiamo l’intelligenza dell’amore”

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La basilica di Santa Giustina a Padova era gremita. Nelle prime file, accanto alle famiglie di Valerio Daprà, Davide Bernadello e Marco Piffari, i tre carabinieri uccisi nell’esplosione del casolare di Castel d’Azzano, sedevano il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, i presidenti di Senato e Camera Ignazio La Russa  e Lorenzo Fontana, e il ministro della Difesa Guido Crosetto, insieme a gran parte del Governo e ai vertici dell’Arma. Fuori, sul sagrato, i picchetti d’onore di Carabinieri, Esercito, Bersaglieri, Lagunari e Marina militare attendevano l’arrivo dei feretri, accolti da un lungo applauso di Prato della Valle, colma di cittadini commossi.

L’ingresso dei feretri e il dolore di un Paese

Poco prima delle 16, i tre feretri avvolti nel tricolore hanno fatto il loro ingresso nella basilica, accompagnate dagli onori militari. I colleghi che le portavano avevano le mani tremanti, qualcuno inciampava per l’emozione. La gente piangeva e pregava in silenzio, stretta in un abbraccio collettivo. Dal presidente Mattarella alla premier Meloni, che ha scambiato poche parole con i familiari delle vittime, nessuno è riuscito a trattenere la commozione. Più di duemila persone avevano già reso omaggio ai tre militari alla camera ardente allestita la sera precedente. Tra loro, cittadini comuni, colleghi, ex carabinieri del Tuscania. Vittorio Tommasi e Giuseppe Tota, che avevano condiviso missioni con Valerio Daprà in Libano, Somalia e Iraq, non hanno trattenuto le lacrime: «Eravamo spalla a spalla al Check Point Pasta nel ’93 — ha ricordato Tommasi — ho perso amici allora, e ne ho perso un altro lunedì notte».

«Non sia turbato il vostro cuore»

Nel cuore del rito, l’omelia dell’Ordinario Militare per l’Italia, monsignor Santo Marcianò, ha rotto il silenzio con parole di fede e consolazione: «A voi, cari familiari di Marco, Valerio e Davide, l’abbraccio di tutti e la preghiera unanime. Anche noi, come i discepoli nell’Ultima Cena, viviamo il trauma dell’addio. Ma il Signore continua a dirci: “Non sia turbato il vostro cuore”. Egli ci insegna a contrapporre all’intelligenza del male l’intelligenza dell’amore». Il vescovo ha ricordato come la vittoria di Cristo non stia nella forza, ma nel servizio: «Gesù mostra che la gloria di Dio è la capacità di spogliarsi e umiliarsi perché l’altro possa vivere. I nostri fratelli Marco, Valerio e Davide hanno seguito questa via: hanno servito la patria, cioè il prossimo, garantendo giustizia e ordine, fino al dono della vita».

L’amore come risposta alla violenza

Monsignor Marcianò ha ammonito contro la deriva di una libertà «disancorata da ogni riferimento», che rende la società «policentrica, incapace di trovare un centro». Serve, ha detto, «rientrare nella casa interiore per comprendere il senso delle proprie azioni» e recuperare la mitezza, «virtù che evita di trasformare la convivenza umana in un immenso mattatoio». Poi, l’immagine più luminosa dell’omelia: «Vogliamo pensare che in quel tragico momento per Marco, Valerio e Davide si siano rese vive le parole di Gesù: “Verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”. Nella casa del Padre mio — ha concluso — ci sono molti posti: Gesù ci prepara un luogo, perché la morte non abbia mai l’ultima parola».

Il saluto della nazione

Alla fine della celebrazione, il picchetto d’onore ha accompagnato i feretri fuori dalla basilica. Dalla folla si è levato un applauso interminabile, mentre le bandiere tricolori a mezz’asta sventolavano sui palazzi di tutta Italia. Sulla piazza, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto: «Onoreremo la memoria di questi eroi, esempio di amore verso la patria». E nell’eco di quelle parole, la voce del vescovo è rimasta sospesa nell’aria di Padova: un appello, un monito, una preghiera — che all’intelligenza del male, l’Italia sappia rispondere con l’intelligenza dell’amore.





Dal sito Famiglia Cristiana

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