C’è molta confusione sui progetti di Trump per quanto riguarda iil settore dell’istruzione. Come al solito Trump minaccia, poi fa passi indietro o comunque frena e prende tempo quando si rende conto che non è, ancora, un dittatore assoluto.
Il presidente non ha mai fatto mistero della sua volontà di abolire il dipartimento dell’istruzione, accusato di promuovere idee progressiste. Istituito nel 1979 per volontà dell’allora presidente democratico Jimmy Carter, il dipartimento sovrintende ai finanziamenti per le scuole pubbliche, amministra i prestiti agli studenti e gestisce programmi che aiutano gli studenti a basso reddito. Trump ha accusato l’agenzia di “indottrinare i giovani con materiale razziale, sessuale e politico inappropriato”.
Nel corso della campagna elettorale per le presidenziali Trump si era impegnato a sbarazzarsi del dipartimento dell’istruzione e a trasferire tutte le competenze ai singoli stati. Tanto che aveva chiesto a Linda McMahon, imprenditrice nel settore del wrestling nominata segretaria all’istruzione, di “rendersi disoccupata”.
Secondo una bozza del potenziale ordine esecutivo di Trump in materia di istruzione, il presidente repubblicano avrebbe dato ordine a McMahon di “prendere tutte le misure necessarie” per chiudere il dipartimento. Parlando in una conferenza stampa il 12 marzo, Trump ha detto che l’obiettivo è spostare il dipartimento dell’Istruzione negli Stati, “in modo che siano gli Stati, invece dei burocrati che lavorano a Washington… a gestire l’istruzione”.
Tuttavia la chiusura del dipartimento è un atto che richiede una decisione da parte del Congresso. Come tappa intermedia verso l’eventuale soppressione, il dipartimento ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che taglierà quasi il 50% della sua forza lavoro: da poco più di 4.100 effettivi a circa 2.200. Secondo l’annuncio, il personale interessato sarà messo in congedo amministrativo a partire dal 21 marzo. La dichiarazione conferma che “tutte le divisioni” all’interno dell’agenzia saranno colpite dai tagli, ma aggiunge anche che continuerà a fornire programmi protetti dalla legge. Intanto diversi stati, guidati da governatori del partito democratico, stanno già organizzando una battaglia legale per contrastare nei tribunali il piano del presidente.