Ricevendo giovani sacerdoti e monaci delle Chiese autocefale orientali, il Papa approfondisce il significato di “simbolo” come espressione dell’armonia delle verità cristiane e segno di riconoscimento tra i credenti. Afferma come ne sia un esempio il Credo niceno, che quest’anno celebra il 1700.mo anniversario
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
“Cocci” divisi, in cammino verso l’unità, sotto la “confessione dell’unica fede, il vero “simbolo” capace di raccogliere le diverse confessioni cristiane, da custodire come “un tesoro in vasi d’argilla”. Una chiamata alla comunione, quella che Papa Francesco rivolge a giovani sacerdoti e monaci delle Chiese autocefale orientali in visita di studio a Roma, ricevuti oggi, 6 febbraio.
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Nicea, teatro dell’unità cristiana
La presenza delle comunità armene, copte, etiopiche, eritree e malankaresi a Casa Santa Marta assume un significato ancora più profondo nel contesto delle celebrazioni per il 1700.mo anniversario del Concilio di Nicea, “che professò il simbolo di fede comune a tutti i cristiani”.
La pienezza della fede condivisa
Nel suo senso teologico, il “simbolo” esprime l’armonia delle diverse verità cristiane. In quello ecclesiologico, richiama il suo significato originario: “la metà di una tessera spezzata in due da presentare come segno di riconoscimento”. Oggi, i cristiani sono chiamati ad identificarsi tramite la loro fede, “che trova la sua piena unità solo assieme agli altri”.
“Noi crediamo”
Il “simbolo” spirituale si incarna infine nel Credo, che nella sua formulazione originale utilizzava la forma comunitaria “noi crediamo”.
L’unione con Dio passa necessariamente attraverso l’unità tra noi cristiani, che proclamiamo la stessa fede. Se il diavolo divide, il Simbolo unisce! Come sarebbe bello che, ogni volta che proclamiamo il Credo, ci sentissimo uniti ai cristiani di tutte le tradizioni.