Francesca Di Maolo con papa Francesco.
di Francesca Di Maolo
presidente dell’Istituto Serafico
Ci sono gesti che non passano, ma che restano e diventano punto di svolta. Era il 4 ottobre del 2013 quando Papa Francesco entrò nella cappella del Serafico di Assisi e tracciò la rotta del suo pontificato, di una Chiesa accanto agli ultimi e alla persone escluse. Una Chiesa capace di commuoversi, perché riconosce Cristo nei corpi segnati. Quella visita, tra le prime del suo pontificato, non fu solo un momento toccante ma segnò l’inizio di un legame profondo con i nostri ragazzi e insieme l’avvio di un magistero che avrebbe messo la fragilità al centro.
Quella visita, nata nel suo primo pellegrinaggio da Papa sulle orme di San Francesco, fu molto più di un incontro. Fu l’inizio di un rapporto speciale, che si sarebbe rinsaldato nel tempo, un legame che ha accompagnato l’intero cammino di un pontificato incentrato sul valore della fragilità intesa come luogo in cui Cristo si rivela. Francesco scelse di cominciare il suo pellegrinaggio ad Assisi da un luogo di cura. Varcò il cancello del Serafico e, senza formalità, si fermò con ciascuno dei bambini e ragazzi con disabilità gravi e gravissime. A ognuno rivolse un sorriso, una carezza. Erano i primi mesi del suo pontificato, ma già in quel gesto era evidente la direzione: voleva una Chiesa capace di lasciarsi toccare e di riconoscere Cristo nei più fragili.
Non lesse il discorso che aveva preparato, ma parlò a braccio, proprio come si fa in famiglia, e indicò nei corpi dei nostri ragazzi “le piaghe di Gesù”. Disse che quelle piaghe “devono essere ascoltate”, e aggiunse: “Non come notizie da prima pagina, destinate a durare pochi giorni: devono essere ascoltate da chi si dice cristiano, come parte viva del Vangelo”. Al termine dell’incontro – si voltò verso la mamma Di uno dei ragazzi e ci disse: “Io oggi sono stato baciato da Dio”. Quella visita oggi non è solo un ricordo da conservare, ma una responsabilità che ci accompagna da allora. Francesco ci ha indicato con chiarezza dove dobbiamo guardare se vogliamo davvero seguire il Vangelo.
Il Serafico, fondato nel 1871 dal beato Ludovico da Casoria e dedicato a San Francesco, è da sempre un luogo in cui la fragilità è accolta con competenza e umanità e con quella visita Francesco ne ha fatto anche un luogo simbolico, un punto da cui ripensare la missione stessa della Chiesa. Ci ha insegnato con le sue parole e i suoi gesti la logica del prendersi cura: riconoscere, stare accanto con tenerezza e fermare il tempo. Il suo modo di guardare i ragazzi, di farsi toccare, di fermarsi ad ascoltare le famiglie, ha dato corpo a un’idea di Chiesa che deve ripartire dagli esclusi. Oggi, nel giorno della sua morte, sentiamo tutta la forza del suo messaggio. In un tempo in cui il valore delle persone viene spesso misurato in base alla produttività o all’efficienza, Francesco ha rimesso al centro gli esclusi. E il suo passaggio al Serafico ha tracciato una linea netta: il Vangelo si misura nella capacità di riconoscere e custodire la dignità di ogni persona, soprattutto quando è fragile.