«Vi racconto come papa Giovanni sventò la Terza Guerra Mondiale»

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L’incubo atomico del conflitto ucraino rimanda a quell’ottobre del 1962, quando l’Unione Sovietica inviò una flotta di navi cariche di missili nucleari per impiantarli sulle rampe di lancio già pronte a Cuba, puntate sugli Stati Uniti. Kennedy rispose con il blocco navale e poco mancò che scoppiasse la Terza Guerra Mondiale. La storia si ripete? Speriamo di sì, nel senso che quelle navi, grazie anche all’opera di mediazione di Giovanni XXIII, tornarono indietro con il loro carico di morte. Marco Roncalli, giornalista e saggista, ha ricostruito quei giorni che coincidono con l’apertura del Concilio Vaticano II (Giovanni XXIII, Vaticano II, un concilio per il mondo, con Ettore Malnati, Bolis edizioni). «La crisi si era già aperta nell’estate di quell’anno con la reazione del presidente Kennedy alla collocazione da parte dei sovietici di missili e sistemi di lancio a Cuba», ricorda Roncalli, «in apparenza per difendere la rivoluzione castrista, ma credo più per ritorsione contro il Muro di Berlino e i missili Usa piazzati in Turchia e in Puglia. L’apice invece coincise proprio con l’avvio del Concilio, aperto da Giovanni XXIII l’11 ottobre. Durò tredici giorni, con un‘escalation terrificante della tensione Usa-Urss  dal momento in cui fu provato che da Cuba, dalle rampe collocate dai russi, i missili potevano colpire il territorio americano».

La risposta di Kennedy fu immediata …

«Con l’ordine di una quarantena navale sull’isola  e – in Florida e Stati limitrofi – con uno spiegamento da apocalisse. Alle minacce di attacco il presidente Usa rispondeva dichiarando che le sue forze armate avrebbero impedito a qualsiasi flotta di avvicinarsi all’isola. Nelle capitali di mezzo mondo, ma anche in Vaticano – mi riferisco alla Segreteria di Stato dove si era bene informati, non tanto ai tantissimi Padri Conciliari ai quali tutto pareva possibile, ma non imminente –  ci si preoccupò non poco…».

Poi  il 22 ottobre, Kennedy rese operativo il blocco navale attorno all’isola, riservandosi l’uso della forza contro le navi sovietiche che avessero scelto di forzarlo. Pareva davvero che mancassero 5 minuti a mezzanotte…

«Il giorno dopo, nel pomeriggio del 23 ottobre, la flotta sovietica era in acque cubane, in posizione d’attacco. Qualcuno ipotizzava una sceneggiata, ritenendo vero scopo dei sovietici il ritiro degli Alleati da Berlino. O una mossa tattica per mettere alla prova Kennedy e permettere a Kruscev di mostrare la propria forza a tutto l’Occidente. Forse. Ma l’ultimatum  del presidente Usa prefigurava scenari drammatici All’Urss vennero date 24 ore per ritirarsi. Unica alternativa guerra immediata.  Con armi atomiche.  

E in Vaticano? Cosa accadeva in quelle ore?

«La verità è che negli stessi giorni, appunto i primi del Concilio, entrò in azione la diplomazia vaticana.  Giovanni XXIII ci mise del suo, anche se la storiografia riconosce ma non enfatizza certo il suo contributo. Insieme a don Ettore Malnati tento una sintesi dei fatti in un capitolo del mio ultimo libro».  

Fu lui a convincere Krusciov? Come si mosse la diplomazia vaticana diretta dal Sostituto monsignor dell’Acqua?

«Mentre saliva la tensione si fece il possibile per coinvolgere persone capaci di negoziare con efficacia. Tanto lavoro specie per il Sostituto alla Segreteria di Stato Angelo Dell’Acqua, ma ovviamente anche per il Segretario di Stato Cicognani, già nunzio negli Usa. In particolare si  coinvolsero intellettuali americani e sovietici che stavano partecipando ad un convegno in Massachusetts, riuniti dall’editore Norman Cousins . Tra di loro anche un discusso domenicano, padre Félix Morlion, che fece da tramite con il Vaticano. Avute le attese assicurazioni, sulla comprensione almeno del suo intervento egualmente rivolto alle due parti – non solo gli americani, anche i sovietici, questo va rimarcato –  Giovanni XXIII decise di intervenire, come pure avevano fatto poco prima all’Onu. E nella notte tra il 23 e il 24 ottobre, non solo pregò, ma, , insieme al sostituto e amico Dell’Acqua e al capo del protocollo Igino Cardinale concordò il testo del radiomessaggio consegnato alle ambasciate americana e sovietica a Roma prima della divulgazione, il 25. Radiomessaggio in francese…».

Perché in francese?

«La lingua della diplomazia non del magistero. In questo caso, benché il messaggio fosse ispirato da tanto pregare (me lo confidò il segretario Loris Capovilla), la forma era più che mai sostanza. E a risentire il testo nessuna accusa qua o là. E soprattutto il Papa, senza farne i nomi, di fatto  supplicava Kennedy – presidente cattolico – insieme a Krusciov. Per il potente segretario del Pcus era già una vittoria…Me lo ha fatto notare più volte un grande amico, il compianto Anatoly Krasikov, primo vaticanista accreditato per conto della Tass…». 

Abbiamo riferimenti negli scritti del Pontefice sulla crisi cubana?

«Rarissimi. Sia in quelli di Giovanni XXIII che dell’entourage. Ma qualcosa c’è. Ne cito due che si scoprono setacciando le fonti. Una in una sorta di diario conciliare (subito interrotto) del segretario del papa – il futuro cardinale Capovilla – che il 25 ottobre registra: “Messaggio di pace del Papa ore 12. Ottimo lavoro compiuto in questi giorni di crisi cubana dalla Segreteria di Stato. Ma il clima non è di paura. Ci si sente sicuri che la scintilla non scoccherà. Il Papa prega molto. Ma Dell’Acqua mi dice: ‘A Washington e a Mosca gradimento per le parole del S. Padre”. L’altra è nel diario di Giovanni XXIII che il 20 novembre segna l’incontro con “il polacco Ierzy Zawieyski, confidente del Card Wyszyński e bene accetto al Sigr. Gomulka, il quale lo incaricò di portare il suo saluto al Papa, e di dirgli che la liquidazione del terribile affare di Cuba egli la ritiene dovuta allo stesso Pontefice”. Già. Proprio così. Scritto così. Bisognerà ricostruirla questa storia, anzi, bisognerà ricostruire la Storia».
In questa vicenda una certa parte la ebbero Fanfani e Bernabei.

«C’è addirittura chi ha parlato non di iniziativa vaticana, ma italo-vaticana. Qualche ragione c’è. In quel periodo Bernabei, uomo di fiducia di Fanfani, stava negli Usa e uno come lui – anche qui ci sono brano diaristici a confermarlo – poteva parlare subito col consigliere del presidente Kennedy Arthur Schlesinger oppure con il suo amico in Vaticano, il Sostituto Dell’Acqua. Nella vicenda entra in gioco anche il discorso dello smantellamento di basi missilistiche in Turchia e in Italia, pure oggetto di trattative in quel periodo. Non a caso le basi dei missili nucleari Jupiter in Puglia e in Basilicata, installate nel 1960, dopo la crisi di Cuba vennero smantellate

La Pacem in terris fu la prima enciclica dedicata alla Pace, quasi una rivoluzione. Papa Roncalli la maturò sull’onda degli avvenimenti di Cuba?  

«Sì . E’ così. Quell’enciclica nacque di fatto dopo quella crisi. Fu il suo ultimo dono, un testamento. Pensa che nel marzo 2003 ne parlai anche in una intervista con Fidel Castro – ho foto e filmato-  che mi dimostrò di conoscerla davvero. Castro che legge la Pacem in Terris! Eravamo nel Palazzo della Rivoluzione. E stavo con il mio ex direttore alle Edizioni San Paolo, don Antonio Tarzia. Nell’era atomica -, si legge nel testo— è una follia: “Alienum est a ratione” qualcosa completamente fuori dalla ragione».

 





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