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Un’età di fatiche ma piena anche di meraviglia

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Basta pronunciare il termine “adolescenza” e nella mente di parecchi genitori fanno capolino paure e stress.  Tanti vorrebbero affrontare l’adolescenza dei figli “il più tardi possibile”. Mentre a 13 anni – l’età, ad esempio, del protagonista della serie inglese Adoloscence, vista da milioni di telespettatori – i ragazzi sono già del tutto immersi nell’adolescenza. «Stando alla tradizionale definizione di teenager, non c’è dubbio che un tredicenne sia un adolescente», spiega Fabrizio Fantoni, psicologo psicoterapeuta. Con l’esperto cerchiamo di capire quali sono i tratti salienti di questa età e perché, soprattutto, oltre a fatica e rabbia è una fase di vita piena di meraviglia. 
Chi sono oggi gli adolescenti?
«Come dicevo, i ragazzi oltre i dieci anni. E gli stessi fenomeni della pubertà, cioè l’insieme dei cambiamenti fisici propri dell’adolescenza, si collocano negli anni tra la scuola secondaria di primo grado e l’inizio della secondaria di secondo grado. Una serie di ricerche di alcuni importanti centri pediatrici italiani – Gaslini di Genova, Bambin Gesù di Roma, Meyer di Firenze – segnalano un lieve aumento dei casi di pubertà precoce, in correlazione sia con l’aumento del peso che con l’utilizzo dei dispositivi elettronici. Questo fenomeno si è accentuato durante il lockdown per il Covid. Se però si considera l’adolescenza nelle sue dinamiche psichiche e di comportamento, sembra che oggi si assista da un lato ad una precoce “adultizzazione” dei bambini, che vengono trattati da grandi prima del tempo (responsabilizzati, pressati sulle prestazioni, coinvolti nei discorsi degli adulti, lasciati liberi di scegliere…), dall’altra però ad un ritardo nell’acquisizione dei comportamenti propri dell’età più adulta. Come dimostrato nell’ampia indagine riportata in Iperconnessi di Jean M.Twenge (2018), i ragazzi della Generazione Z, nati a cavallo del Duemila hanno segnalato un ritardo rispetto alle generazioni precedenti in molti indicatori, dall’acquisizione della patente ai primi rapporti sessuali all’uso delle droghe. Sono però mediamente anche meno pronti ad affrontare in modo responsabile i compiti della crescita e le prime scadenze dell’età adulta».   
L’adolescenza è un periodo solo “negativo”, da aspettare che passi, o porta con sé potenzialità?
«L’adolescenza non è solo una fase della vita. È un processo in cui si impara una funzione importante della mente: imparare ad oscillare tra apertura a ciò che è ignoto, a nuovi modelli e persistenza in ciò che è precedente. Si sviluppa la gestione psichica del cambiamento, attraverso la creatività e il coraggio. Il mondo interiore, cioè l’insieme di desideri, paure, emozioni, stati d’animo ecc., che costituisce il “mentale”, si connette, si sincronizza con il mondo esterno, la realtà, con le sue limitazioni e le sue possibilità. Questo lavoro di integrazione è proprio dell’adolescenza, ma accompagna l’essere umano per il resto della vita. In questo senso l’adolescenza porta a misurarsi anche con l’incompletezza dell’essere umano e il suo bisogno di aprirsi all’esperienza». 

 


Lo psicologo psicoterapeuta Fabrizio Fantoni



Per quali aspetti i ragazzi di oggi sono adolescenti “nuovi” e per quali ricalcano l’adolescenza delle generazioni precedenti?
«Personalmente credo che i compiti di sviluppo siano sempre gli stessi, invarianti nell’adolescenza, uguali per i ragazzi di oggi come per quelli di ieri e dell’altro ieri, ma che vengano declinati in modo differente. Ad esempio, la separazione dai genitori avviene ancora, anche attraverso la conflittualità propria di quella età, ma in forma diversa, a causa dell’aumentata ansia dei genitori che vedono con maggiore preoccupazione il futuro dei figli rispetto alle generazioni precedenti. Oppure la “nascita sociale”, cioè l’affacciarsi alle relazioni con i coetanei che diventano polo di riferimento nel mondo, accanto (e talvolta al posto) dei genitori. Essa oggi passa molto più attraverso le relazioni online e i social, che fanno a meno del corpo e si estendono nel tempo, non conoscendo limiti (uso del cellulare a notte fonda), ma anche modificano il modo di vivere le relazioni affettive (di amicizia o amorose). Così, la naturale scoperta della propria sessualità, che appartiene agli adolescenti di ogni epoca, oggi assume caratteristiche proprie a seguito della grande facilità di accesso alla pornografia e alla diffusione dei social e delle chat di incontri. Sono le nuove forme dei compiti di crescita degli adolescenti di ogni generazione, con i quali si misurano i ragazzi e l ragazze di oggi, e noi adulti con loro…».
Quali sono i lati belli degli adolescenti? Di cosa hanno fame, cosa desiderano?
«Ciò che mi affascina maggiormente negli adolescenti è il loro sguardo: vivono una serie di esperienze per la prima volta nella vita, con stupore e coinvolgimento. Con passione e dolore. Anche quando sembra che banalizzino, quando, alla domanda su come stanno o che cosa provano, rispondono “Normale”, in realtà stanno prendendo le distanze dal rischio della delusione, perché l’aspettativa è sempre forte. Sentire in profondità la loro carica, lasciarsene avvolgere, sia essa entusiasmo o rabbia, sia essa manifesta o contenuta, senza avere paura anche del loro dolore, è un dono che fanno a noi adulti. Gli “occhi nuovi” dei ragazzi ci permettono di vedere la realtà da un altro punto di vista. Ad esempio, il loro lavoro di ripensamento dei legami primari con i genitori ci aiuta a cogliere meglio come in tutte le relazioni ci sia un complesso equilibrio tra sentire l’altro dentro di noi e avere una distanza che ne rispetti l’autonomia e l’alterità». 
Quale il ruolo degli adulti nell’adolescenza dei figli? Dovesse dare una suggestione a un genitore, cosa consiglierebbe?
«Non è facile dare indicazioni generali, perché, come ogni relazione, anche quella tra un genitore e un figlio adolescente è quel “qualcosa” che si crea tra loro due, il campo di forze che si genera in mezzo a loro e che dipende dalla storia e dalla personalità di ciascuno. Tre raccomandazioni mi verrebbe da proporre ai genitori: la prima è non sottovalutare mai la relazione che hanno costruito con i figli durante l’infanzia. Se è stata buona, i ragazzi faranno sempre molta attenzione a quello che i genitori dicono e fanno anche durante l’adolescenza; sembra non ascoltino, ma poi dicono allo psicologo per filo e per segno quello che mamma e papà dicono e fanno. Ascoltare ovviamente non significa automaticamente mettere in pratica, ma le parole dei genitori lasciano tracce più profonde di quello che essi talvolta pensino. Per questo, occorre sempre fare attenzione alle parole e ai toni che si usano. Anche le parole o i gesti durante i momenti di tensione o rabbia possono provocare ferite difficili da rimarginare nei ragazzi. La seconda: ciò che maggiormente irrita un genitore è spesso qualcosa che ha a che fare con le dinamiche più profonde del genitore stesso, con le sue “zone oscure”, con le sue angosce più intime. Se un figlio colpisce il genitore così a fondo, è anche una buona occasione per il genitore stesso per riflettere su di sé e conoscersi meglio.  La terza è quella di essere sempre e comunque i custodi della speranza: ogni atteggiamento pessimistico, troppo preoccupato verso il futuro, chiuso verso il nuovo che avanza, nostalgico di un passato spesso migliore perché immaginario o perché coincidente con la giovinezza del genitore (il vero oggetto di nostalgia) mina la spinta dei ragazzi a collocarsi nel mondo e dare il proprio contributo al futuro». 

Ulteriori approfondimenti sul numero di Famiglia Cristiana in edicola dal 3 aprile, con la voce del neuropsichiatra Stefano Vicari e dello psicoterapeuta Alberto Pellai, mentre al docente e critico televisivo Massimo Scaglioni è affidata la critica della serie.





Dal sito Famiglia Cristiana

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