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Tigray, l’attesa della Pasqua di un popolo stremato da violenza e povertà

Il Paese vive nella speranza dell’applicazione degli accordi di Pretoria che nel 2022 hanno chiuso il conflitto tra il governo di Addis Abeba e i ribelli tigrini. Monsignor Tesfasellasie Medhin, vescovo dell’eparchia cattolica di Adigrat, esprime grande preoccupazione: “Il mistero pasquale ci rende consapevoli che dopo il venerdì, c’è sempre una domenica. In questo anno giubilare, vogliamo essere anche noi pellegrini di speranza”

Luca Attanasio – Città del Vaticano

Il secondo anniversario, il 2 novembre scorso, della firma degli accordi di Pretoria che mettevano fine al conflitto in Tigray, una delle guerre più sanguinose e neglette degli ultimi anni — almeno 600.000 vittime oltre a più di 2,5 milione di sfollati in due anni — è passato senza alcun festeggiamento. Anzi, dalla fine del 2024 le tensioni interne unitamente allo stallo generale nell’implementazione dell’accordo, hanno reso la situazione della tormentata regione settentrionale dell’Etiopia, nuovamente preoccupante. I negoziati di pace tra il governo di Addis Abeba e i ribelli tigrini rappresentati in prima istanza dal Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), prevedevamo infatti la smobilitazione delle forze esterne che avevano sostenuto l’esercito centrale (ovvero quelle eritree e dall’Ahmara, ndr) e un graduale ritorno alla normalità. Nulla di tutto questo sta avvenendo. Inoltre, le tensioni interne al Tplf hanno condotto a scissioni e aumentato la preoccupazione per un ritorno al conflitto.  

Un popolo stremato

Per comprendere dall’interno il momento del Tigray e conoscere come i cristiani si apprestano a vivere la Pasqua, i media vaticani si sono rivolti a Tesfasellasie Medhin, vescovo dell’eparchia cattolica di Adigrat, titolare della diocesi che comprende tutto il Tigray e parte dell’Afar.  «C’è molta preoccupazione — spiega monsignor Medih — perché siamo molto lontani dalla implementazione dell’accordo di Pretoria. Un terzo del Tigray è ancora occupato da forze eritree ed ahamara e quindi in gran parte inaccessibile. Moltissimi profughi, dopo due anni dalla pace, non riescono ancora a fare ritorno a casa. A questo si aggiunge il blocco di UsAid che sta creando ulteriori problemi a una popolazione già allo stremo».

Tensioni e divisioni

Per cercare di allentare le tensioni all’interno del Tplf, il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha operato cambiamenti e nominato di recente Tadesse Worede alla guida dell’amministrazione provvisoria del Tigray. Sul finire del 2024 il Tplf si era diviso in due fazioni, con un gruppo dissidente guidato da Debretsion Gebremichael che accusava l’amministrazione provvisoria del Tigray — al cui vertice, dopo Pretoria, era stato collocato il portavoce Getachew Reda — di tradire gli interessi tigrini. Abyi è dovuto intervenire anche per allontanare nuove possibili gravi frizioni con l’Eritrea ostile al governo di transizione e molto insoddisfatta dell’esito dell’accordo di Pretoria anche perché non invitata al tavolo negoziale. «Le divisioni del Tplf sono un grave problema — afferma Medih — ma non credo che porteranno a un nuovo conflitto anche perché la società civile si sta mobilitando e il nuovo governo di transizione, speriamo, potrà operare meglio del precedente. Il vero rischio, al momento, viene dalla rinnovata tensione tra Etiopia ed Eritrea, ovviamente non siamo ai livelli del conflitto (scoppiato nel 1998 e ufficialmente concluso nel 2000, che si è in realtà protratto fino al 2018 quando venne siglato quell’accordo che ha portato il premier Abiy al Nobel per la Pace nel 2019, ndr) ma con la brutta aria che si respira, qualche timore persiste. La Chiesa, in ogni caso, gioca un ruolo importante nel favorire il dialogo e aiutare la transizione».

La fuga dei giovani

Nel frattempo la popolazione vive una condizione di estrema difficoltà. L’economia non riprende, le tensioni sono latenti e bambini e giovani sono le principali vittime della situazione. «La nostra gioventù vive una condizione drammatica: oltre 500 scuole sono chiuse dai tempi del covid, si calcola che circa 1,2 milioni di ragazzi non hanno mai frequentato la scuola da cinque anni. Sono privati di una educazione adeguata. Ovviamente questa situazione genera frustrazione, i ragazzi non studiano, non trovano lavoro e la maggior parte va via. Si avventura in viaggi pericolosissimi verso l’Europa, i paesi del Golfo o Israele. Riceviamo tutti i giorni appelli sulla situazione di ragazzi disperati, intrappolati e abusati in Libia o in Tunisia e morti nel Mediterraneo».

Pellegrini di speranza

I cristiani si apprestano a vivere, così, l’ennesima Pasqua di passione tra difficoltà nella vita quotidiana, timori di nuove violenze e problemi anche a celebrare i riti della festa. «Abbiamo enormi difficoltà a raggiungere i luoghi sotto occupazione di forze esterne, in alcune aree non ci sono sacerdoti ed è praticamente impossibile che le parrocchie ricevano i sacramenti. Purtroppo né io né altri preti riusciamo ad andare a visitare tanti nostri luoghi da ormai oltre quattro anni. Alcuni sacerdoti sono dovuti scappare durante il conflitto, nei due anni di quello che qui definiamo genocidio, e non hanno più potuto fare ritorno nelle loro comunità. I nostri fedeli in varie zone hanno celebrato la Domenica delle Palme guidati da laici. Stiamo cercando di negoziare l’ingresso di preti in alcune situazioni ma non è semplice. Il Tigray, così come il Sudan, Gaza o l’Ucraina, vivono la loro passione, ma il mistero pasquale ci rende consapevoli che dopo il venerdì, c’è sempre una domenica. In questo anno giubilare, vogliamo essere anche noi pellegrini di speranza».



Dal sito Vatican News

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