Nella meditazione di oggi la riflessione della monaca benedettina si incentra sul tema de “Il luogo della Chiesa sinodale in missione”. Cercando nel “tessuto umano” gli spazi di annuncio del Vangelo, ha detto la religiosa, è necessario dissociarsi dai “conformismi mediatici e dalle “osservanze vuote”, culture “dell’apparire, che non saziano” ed “estenuano le giovani generazioni”
Lorena Leonardi – Città del Vaticano
Per Gesù, “luogo” è ovunque l’uomo patisca, manifesti o condivida “fame”. Il bisogno scava negli umani uno spazio di relazione dove il Vangelo può essere annunciato in verità: sono questi i luoghi che la Chiesa sinodale è sfidata a riscoprire. Lo ha detto la monaca benedettina Maria Ignazia Angelini questa settimana, 15 ottobre, nell’Aula Paolo VI, tenendo una meditazione su “Il luogo della Chiesa sinodale in missione”, per preparare i partecipanti alla riflessione sulla terza parte dell’Instrumentum laboris, sul tema dei Luoghi.
Il Vangelo cammina di soglia in soglia
Il radicamento ecclesiale in un posto concreto, un contesto, una cultura è “un nodo che già dagli inizi ha inquietato le prime comunità cristiane”, infatti “riguardo ai luoghi della vita, i cristiani – ha spiegato madre Angelini – si identificavano, paradossalmente, come ‘stranieri residenti”’. Pensando ai “luoghi/simbolo” delle origini (Gerusalemme, Samaria, Antiochia, Giaffa, Cesarea, Filippi, Efeso) “subito appare la dialettica che sta alla radice: se luogo della Chiesa è sempre un concreto spazio-tempo di raduno, il cammino del Vangelo nel mondo va di soglia in soglia, rifugge da ogni staticità, ma anche da ogni ‘santa alleanza’ coi contesti culturali dell’epoca”.
La dimensione reticolare della relazione
Quel “non è qui” pronunciato all’alba della risurrezione, “annuncio del Vangelo sempre in uscita”, ha fin da principio “sorpreso e guidato la chiesa apostolica alle sue scelte “esodiche'”, dentro e poi fuori dal cenacolo, dal tempio, dalla casa di Cornelio.
Radicata “in tutti i luoghi dell’umano” ma con l’elemento dinamico della Pasqua – “Non è qui” – la Chiesa supera così una “visione statica dei luoghi, anche quelli più sacri, anche quelli più gettonati” per “aprirsi alla dimensione ‘reticolare’ dei luoghi della relazione” attraverso i quali si articola la sua vitalità.
Gesù ama i banchetti
Ma, si è interrogata la religiosa, “qual è il filo, quali sono i nodi di congiunzione di tale rete?”. Per rispondere, madre Angelini ha richiamato due “conviti”, quello universale della profezia di Isaia in apertura dell’Instrumentum Laboris, e l’invito a tavola dal fariseo nel Vangelo del giorno.
Dall’accostamento tra i due raduni conviviali emerge il “drammatico contrasto” tra le situazioni: “Dio che prepara un convito, e da un ‘non luogo’ apre futuro; Dio che in Gesù accetta l’invito ipocrita e ridisegna, a suo rischio, il convito a luogo di relazioni”. Gesù “ama i banchetti”, dalla vocazione di Levi al Cenacolo: la mensa umana è per Lui “luogo di raduno per via, e arrischiato luogo di verità”, fino a “costituire — a motivo dello stile di raduno e per i commensali — un capo di accusa”.
Il bisogna scava uno spazio di relazione
Nella mensa, “luogo fortemente simbolico”, ha proseguito la benedettina, la “costitutiva itineranza dell’annuncio trova necessaria sosta”, le relazioni “affondano radici” e la fame è messa a nudo. Lì, dove il bisogno scava uno spazio di relazione “non vano” con l’altro – amico o nemico, santo o peccatore – appunto risiede la sfida di esserci. Tornando al raffronto tra conviti, mentre in quello “ultimo” Gesù cerca il luogo per dire “Ho desiderato ardentemente mangiare con voi”, nell’incontro col fariseo Luca, “evangelista ‘mansuetudinis Christi’, descrive un Gesù graffiante, rude, inospitale” che “manifesta l’intento di rompere, di scuotere le coscienze per una nuova, radicale contestazione di una cultura, di un sistema religioso”.
La convivialità del dono
Ribaltando l’insidia del suo ospite, per «giungere a un’etica dell’interiorità e dell’autenticità” Gesù “indìce una nuova convivialità, basata sul dono”: ‘Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro'”. L’episodio evangelico convoca così “nei luoghi della conversione sinodale della Chiesa”, che sono gli spazi “dell’umano, delle culture, della fragilità, della tenace speranza”. Se la “doppiezza di cuore” denunciata da Gesù “contraddice radicalmente la convivialità delle differenze”, la “scotomizzazione tra l’apparire e interiorità, pubblico e privato, individuo e comunità” è per la religiosa all’origine della “stoltezza pervasiva che soffoca oggi nel mondo la ricerca di radicare l’annuncio del Vangelo nei luoghi della vita”.
Priorità all’interiorità rigenerata
Cercando nel “tessuto umano” i luoghi di annuncio del Vangelo, è necessario — ha sottolineato Angelini — dissociarsi dai “conformismi mediatici” e dalle “osservanze vuote”, culture “dell’apparire, che non saziano” ed “estenuano le giovani generazioni”. Lo stile di Dio, simboleggiato tanto nel testo di Isaia quanto nel Vangelo di oggi, “sollecita con forza il cammino sinodale”, offrendo “criteri di raduno ‘altri’ dal mondo della legge’”. Il “luogo originario del convenire” per Gesù è “l’interiorità rigenerata”, spazio “largamente disatteso dalle culture dominanti” ma “priorità per la convivialità sinodale, per incontrare in verità il luoghi dell’umano”. Forse, oggi, ha concluso madre Angelini, si tratta di “ritrovare la fecondità di luoghi in cui condividere fame e umile, tenace speranza, legami di fiduciosa condivisione, sintonie tra cercatori di fraternità”.