Nella meditazione alla congregazione generale di oggi, 7 ottobre, la religiosa benedettina colloca il buon samaritano sul cammino sinodale, mentre il mondo vive “un’ora buia”. Vincendo la tentazione dell’indifferenza, la riflessione spinge a intessere relazioni gratuite, dando concretezza a una dimensione “materna, viscerale”. Per riscoprire sempre più, nella chiesa sinodale, i ministeri delle donne
Lorena Leonardi – Città del Vaticano
La parabola del Buon Samaritano come traccia simbolica, mappa del cammino sinodale: è su questo snodo che suor Maria Ignazia Angelini, religiosa benedettina, ha incentrato la sua meditazione stamani, 7 ottobre, nell’Aula Paolo VI, preparando così i partecipanti alla riflessione sulla seconda parte dell’Instrumentum laboris, sul tema delle Relazioni. Al centro della similitudine tra Buon Samaritano e Sinodo, dunque, le relazioni come “rete portante” in cui, ha spiegato la religiosa, “prima ancora che di ‘fare’, si tratta di ‘vedere’. Il vedere che è alla base della spiritualità sinodale: ‘Ubi amor ibi oculus’: dov’è amore si apre una nuova visione”.
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Un solo cammino, visioni diverse
Nel racconto di Luca, “teologo delle relazioni” secondo la definizione dell’esegeta François Bovon, “possiamo vedere raffigurato lo stesso cammino sinodale: la via che da Gerusalemme ‘scende’ a Gerico è l’orizzonte a tutti i possibili percorsi”, spiega madre Angelini: così “il cammino sinodale, partito a molti livelli, e in molte direzioni – a seconda dei continenti, delle nazioni, dei contesti, delle collaborazioni –, è unico. Ma per coloro che lo percorrono, ci rivela il Vangelo, si aprono visioni diverse: vedere e passar oltre, distanziandosi dall’altra parte. Nei dialoghi sinodali, quante storie si incrociano, quante attese deluse, oppure – trasformante! – quale sguardo potrà maturare…”
Lo sguardo che vede il prossimo
“Radicale e generativa” si rivela così la parola del Vangelo “proprio oggi, in un’ora buia, per il mondo intero”, dove “guerre fratricide” travolgono in una “spirale senza remissione”, che lascia l’umano pareggiato alla terra “mezzo morto”, come l’uomo della parabola. “Sinodalità per la missione sentiamo ripetere in questi giorni, sì: ma quale missione?”, si è domandata la benedettina, sottolineando che la discesa da Gerusalemme a Gerico è modello di tutti i tragitti della missione. Mentre “lo sguardo che ‘scendendo’ vede la sventura sconvolge le viscere e trasforma il samaritano in prossimo” non potrà più staccarsi dal “mezzo morto” che d’improvviso gli si è parato dinanzi, dando concretezza a una dimensione “materna, viscerale”, la Chiesa “misericordiata”.
Riscoprire i ministeri delle donne
Calando la parabola nell’attualità della missione – oggi “radicalmente diversa, come stile, da metodi e strategie che fino a poco fa parevano tenere” – il Vangelo invita, ancora adesso, secondo madre Angelini, in questo oggi “segnato da tanta violenza manifesta o camuffata”, ad “aprire lo sguardo alla beatitudine di vedere con occhi di compassione. Missione a cielo aperto, a mare aperto: senza riparo, ma non senza un criterio”, quello di “convertirsi alla misericordia”. La religiosa benedettina legge alcune parti dell’Instrumentum laboris (“è nelle relazioni – con Cristo, con gli altri, nella comunità – che si trasmette la fede”) per poi ribadire che la missione è “questione di occhi e di viscere, per questo più o meno confusamente percepiamo che è importante riscoprire, nella chiesa sinodale, i ministeri delle donne”.
Contro la tentazione dell’indifferenza
Quel samaritano, senza farsi padrone, prosegue, “conduce, raduna altri, affida, crea una rete di relazioni, intesse una cultura della gratuità. E così narra di noi”, della Chiesa come “luogo in cui tutti sono accolti”. Se la tentazione dell’indifferenza – “il male di una società complessa”, che “tenta in molti modi anche la chiesa sinodale” – certamente rimane “per chi è tutto preso dai propri programmi, urgenze, evidenze auto riferite”, la punta della parabola è in quel “vedere” che riconosce l’altro e intima di farsi prossimo, in una “rivelazione sconvolgente” che “converte il cuore e ridisegna il mondo”.
Una nuova spiritualità
“Fa’ questo e vivrai”, è l’intimazione conclusiva della parabola: “Un ‘fare’ sorprendentemente semplice, capace di edificare una umanità fraterna” mediante il “prendersi cura”, l’accettazione e la rielaborazione delle differenze, “la costituzione di un pandocheion, una rete di relazioni ospitali”. Suor Angelini sintetizza: se “il samaritano della strada ‘che scende’ è per il cammino sinodale simbolo e principio in una nuova spiritualità, alternativa a ogni spiritualismo di sacrestia, o d’intimità protetta”, così “l’uomo spirituale è colui che ‘vede’ l’altro nella fragilità estrema, mezzo morto”. E, “preso da compassione, si ferma nei suoi programmi” e “si fa prossimo”.
Scegliere, nella vita, se fermarci o passare oltre
Nella riflessione “sul nostro esserci – Chiesa di oggi, anch’essa ferita e ‘misericordiata’ – occorre ribaltare l’orizzonte della spiritualità, perché “lo Spirito di Dio ama dimorare nei luoghi della liminalità”, lungo i bordi della strada che da Gerusalemme scende a Gerico. Ecco che “la liturgia non sacrale dell’incontro con l’altro, appresa dal Mistero della celebrazione liturgica, è il nucleo ardente dello stile dello Spirito”. Imbevuti di relazioni fin dalle radici della nostra natura umana, prima o poi, conclude nella sua meditazione la benedettina, in un momento della vita “dobbiamo scegliere se fermarci o passare oltre”, “se e come ridisegnare il mondo e la cultura. A partire da relazioni gratuite”.