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Senza reddito di cittadinanza 850 mila famiglie sprofondate nella povertà

di Francesco Belletti, direttore Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia)

Sono appena state diffuse le stimolanti “microsimulazioni” Istat su “La redistribuzione del reddito in Italia”, con i dati relativi al 2024. Di particolare interesse, in questo breve rapporto, l’analisi relativa all’efficacia delle politiche pubbliche nel diminuire la disuguaglianza tra famiglie nella distribuzione del reddito. Nello specifico, si confronta il reddito disponibile delle famiglie italiane “prima e dopo l’intervento pubblico”, e ci si aspetta di trovare che le differenze di reddito tra i più ricchi e i più poveri vengano significativamente ridotte, proprio grazie all’azione di un welfare monetario, che consiste in due principali azioni: da un lato il prelievo fiscale, con una tassazione che deve essere progressiva, secondo il dettato costituzionale; dall’altro i sostegni monetari diretti, che consistono in assegni, indennità, bonus vari, ecc.

E da questo arriva un prima buona notizia, perché nel 2024 l’indice di disuguaglianza (tecnicamente l’indice – o coefficiente – di Gini, dal nome dello statistico italiano che lo ha ideato tra il 1912 e il 1915) rileva una significativa diminuzione “dopo l’intervento pubblico”: si passa da 46,48 “prima dell’intervento pubblico”, analizzando cioè i redditi e le varie fonti di ricchezza “dal mercato”, al 30,40 “dopo l’intervento pubblico”, calcolando cioè le differenze tra livelli di reddito dopo il prelievo fiscale, e soprattutto dopo gli interventi di sostegno al reddito (misure di contrasto contro la povertà, assegni assistenziali, il bonus Natale, ecc.). Si tratta di un buon risultato, che lascia però l’Italia ancora leggermente al di sopra della media europea dell’indice di disuguaglianza. In altre parole, abbiamo un buon sistema di welfare monetario pubblico, in termini redistributivi, ma si potrebbe/dovrebbe fare di più.

Un secondo tema, un po’ più controverso e ben documentato dai dati Istat, è che nel 2024 le politiche fiscali e assistenziali introdotte (riduzione del cuneo fiscale, calo dell’Irpef, introduzione dell’Assegno di Inclusione) hanno migliorato molto di più la condizione delle fasce centrali di reddito di quanto non siano riuscite a proteggere le fasce più povere. In particolare la sostituzione del Reddito di Cittadinanza con l’Assegno di Inclusione ha lasciato circa 850.000 famiglie o completamente senza protezione economica, o con sostegni decisamente inferiori. È pur vero che, come riporta l’Istat, “nel 10% di queste ci potrebbero essere individui percettori del SFL” (Assegno di Supporto per la Formazione e il Lavoro), intervento più di politica attiva per il reinserimento lavorativo che assistenziale (contrasto alla povertà), ma i numeri dei “lasciati fuori” sono consistenti, ed esigono certamente azioni mirate – pur a fronte di una costante e rilevante ripresa dell’occupazione che in parte si alimenta proprio da ex-percettori del “Reddito”.

Purtroppo – terza annotazione – i dati 2024 non sono direttamente confrontabili con il 2023 (per un cambio nel metodo di raccolta dati, come segnala in nota il Report), e quindi non si possono sviluppare confronti nel tempo. Non possiamo non segnalare, però, che contrariamente al 2023, nel 2024 il valore dell’Assegno Unico Universale per i figli non è stato conteggiato come intervento pubblico (tra i valori che incidono come “dopo l’intervento pubblico”), e questo ci pare meriti una certa attenzione, perché l’assegno unico, oltre che garantire maggiore “equità orizzontale” (tenere in debito conto la presenza del figlio, a parità di reddito familiare), aveva avuto un effetto significativo anche in termini di riduzione della disuguaglianza tra livelli di reddito – cioè, avevo riportato tante famiglie numerose sopra la soglia di povertà, migliorando così anche l’indice di Gini. Del resto, ancora oggi la percentuale di famiglie con tre o più figli sotto la soglia di povertà è quasi il triplo della media complessiva – prima e dopo l’intervento pubblico!

In sintesi: il nostro welfare monetario ha un buon impatto redistributivo rispetto alla ricchezza delle famiglie, ma andrebbe meglio calibrato e potenziato, con una duplice prospettiva, che andrebbe perseguita armonicamente, e non in contrapposizione: da un lato, migliorare la propria capacità di sostenere i redditi delle famiglie più povere, a prescindere dalla composizione del nucleo; dall’altro, di sostenere in modo mirato e consistente le famiglie con figli, tuttora penalizzate e non adeguatamente sostenute. In questi tempi di “venti di guerra”, che pretendono piani di investimento transnazionali e pluriennali, il rischio che questi due obiettivi di civiltà e solidarietà vengano dimenticati è assolutamente reale: anche per questo vale la pena di continuare a parlarne.

 

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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