Non un voto contro l’Europa, ma un voto contro il sistema interno. Sta di fatto che la vittoria al primo turno alle elezioni presidenziali del candidato di ultradestra, George Simion rischia di diventare una spina nel fianco per l’Ue e non solo. L’ultima parola spetterà sempre agli elettori e sarà il prossimo 18 maggio. Ma è possibile fare un’analisi di questo primo turno, partendo da un dato inoppugnabile: la sentenza della Corte Costituzionale che ha invalidato il primo turno delle elezioni lo scorso dicembre e dichiarato ineleggibile il candidato filorusso, Călin Georgescu, non ha certo spento la voglia di nazionalismo e sovranismo nel Paese.
Guardando al responso uscito dalle urne, oltre al 40,5% di Simion, che è l’indiscusso vincitore di questa prima tornata, è opportuno fare una riflessione sul risicato 18,20% di Crin Antonescu. I rumeni non hanno preso bene che la coalizione governativa, formata da liberali e socialdemocratici, abbia deciso di candidare una figura della vecchia politica, di 65 anni e soprattutto espressione di una maggioranza che è accusata, dentro e fuori il Paese, di non aver pensato ai bisogni della popolazione. A volerla vedere tutta, non lo ha fatto nemmeno Simion, nel senso che durante la sua campagna elettorale non ha parlato dei problemi strutturali che affliggono l’economia, preferendo una retorica nazionalista e populista, fatta di concessioni di ‘mance’ elettorali e messaggi incendiari contro l’Unione Europea e a favore dell’identità nazionale.
Un modus operandi che abbiamo già visto in molti Paesi dell’area e che sembra portare risultati, almeno sul breve termine. In questo contesto va letto anche il voto dei rumeni all’estero, che, con le eccezioni di Canada e Stati Uniti, è stato quasi completamente a favore di Simion. Si tratta di un vero e proprio voto anti-establishment, che si comprende ancora meglio se si considera che, a partire dalla caduta di Nicolae Ceaușescu, il potere è stato detenuto praticamente sempre da liberali e socialdemocratici. Anche questo concorre a spiegare la buona affermazione del sindaco di Bucharest, Nicușor Dan, che ha raccolto il 20,9% dei consensi e che quindi sarà il secondo sfidante il prossimo 18 maggio.
Tornando a Simion ha inoltre potuto contare su un altro alleato che è un attore importante negli equilibri nazionali: la Chiesa Ortodossa Rumena. Va considerato che per il leader di estrema destra essere rumeno significa essere cristiano ortodosso. Una impostazione che risulta quanto mai gradita al Patriarcato di Bucharest, che, come molti ‘colleghi’ deve fare i conti con un tasso di natalità fortemente indebolito, fedeli sempre più vecchi e chiese sempre meno piene, anche in un Paese devoto come la Romania, dove sorge la cattedrale ortodossa più grande del mondo, interamente finanziata con soldi pubblici e donazioni dei fedeli. A decidere il risultato saranno gli elettori. Secondo gli analisti saranno determinanti due fattori. Il primo è rappresentato dalla vera sorpresa di queste elezioni, ossia Victor Ponta, ex premier social democratico stregato dalle sirene del sovranismo, che da solo ha raggiunto un 12,8% di tutto rispetto. C’è poi il dubbio affluenza. Durante questo primo round è stata abbastanza alta, ma con un importante ponte di mezzo. Se al prossimo turno dovesse alzarsi, potrebbero essere voti a favore di Dan, considerato il fatto che l’elettorato di Simion è più motivato.