Roger Federer, cala il sipario sull’artista dei gesti bianchi

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Giù il sipario, game over. Applausi. Roger Federer, 41 anni, ha annunciato che la Rod Laver Cup sarà la sua ultima uscita pubblica su un campo da tennis Atp. Ed è come dire che Michelangelo depone il pennello, che Beethoven chiude il pianoforte sull’ultima nota.

Alla metà del mondo che non ama lo sport e lo considera una cosa rude, sudata, fine a sé stessa, forse il paragone suonerà eretico. Ma anche lo sport nell’imprevedibilità del gesto sa a volte esprimere bellezza pura, e qualcosa di molto vicino alla genialità. E Roger Federer, lo svizzero gentiluomo che giocava senza quasi spettinarsi, ci ha regalato sul campo da tennis, per un tempo più lungo di quanto l’anagrafe ci avrebbe lasciato immaginare, la cosa più vicina all’arte: la capacità di inventare cose che si pensava che con una racchetta e una pallina non si potessero fare. Estro, spettacolo, appunto bellezza, eleganza, classe, emozione.

Al di là del vincere o perdere, anche se ha vinto tantissimo, era bello da guardare per quello che sapeva creare. Certo a lui prima che a noi forse resterà come un grande rimpianto quell’ultima finale di Wimbledon nel 2019 contro Djokovic, perduta avendo avuto in canna l’ultimo colpo e la ventura di spararlo per primo. Anche se non è da questi particolari che si giudica un giocatore gli sarebbe certo piaciuto finire con gli applausi a scena aperta anziché dietro le quinte imboccando il viale del tramonto di un rientro che il ginocchio malandato ha impedito.

Lo sport in questo sa essere crudele. Ti chiede di lasciare la cosa che sai fare meglio prima di metterti in condizioni di non saperla fare più. Ma non è facile. A noi resterà la fortuna di aver visto giocare Roger Federer nei suoi giorni migliori, quando l’intelligenza ha incanalato l’emotività del ragazzino che rompeva racchette facendone un uomo controllato e misurato, un campione senza eguali proprio quando ha imparato a dominare l’imprevedibile dentro di sé, senza ingrigire, senza perdere la fantasia.

E quell’ultima finale sull’erba di casa sua, perché quello è stato a lungo il centrale di Wimbledon per lui, pur così amara, in fondo ci dice che l’artista è tale se resta umano, se non azzera del tutto il tuffo al cuore che sa rompere gli schemi quanto basta per pensare cose che agli altri non riescono o forse, chissà, per farle d’intinto senza sapere d’averle pensate, a costo di perdere qualche punto per strada.

Adesso Roger Federer imbocca un’altra strada, una terra incognita da attraversare, per quanto lussuosissima (il tennis copre d’oro i suoi adepti): in questa lunga attesa di rientro avrà forse avuto il tempo per abituarsi all’idea, ma sarà ugualmente complicato far pace con le righe del campo che da un giorno all’altro ti chiudono fuori dai cancelli, dopo una vita a onorarle così. Difficilmente vedremo un altro Federer, chi non avrà avuto la fortuna di vederlo giocare ne cercherà i video su youtube che tutto conserva ma non sarà la stessa cosa del bello della diretta con la consapevolezza che talvolta è solo un battito di cuore a distinguere il trionfo dalla sconfitta.

A guardarlo da fuori si direbbe che Roger Federer abbia maturato la saggezza per guardare con lo stesso distacco questi due impostori. Chissà poi se è vero. O se, invece, un uomo con la maiuscola così esiste soltanto nella suggestione dei versi di Kipling. Di certo si è portato, in campo e fuori, con educazione e correttezza, anche con un certo stile, e ha dato di sé ha dato un’idea di persona sobria, consapevole privilegio che la vita gli ha dato e impegnato a restituire nel sociale.

Qualcuno ha sorriso scoprendo che quando s’è trattato di smaltire la delusione di quell’ultima sconfitta si è concesso con Mirka, la ragazza di una vita, sposata nel 2009, e le loro due coppie di gemelli, una vacanza: in camper, sulle Alpi. Magari non era l’idea platonica della frugalità ma il solo modo di scappare all’attenzione del mondo, eppure qualcosa dice di uno che volendo potrebbe avere l’Hilton ogni sera.

Se Roger Federer fosse un artista avrebbe la stoffa del classico, ma il tennis è un’arte effimera che esiste solo nel suo farsi come le sculture di sabbia sul bagnasciuga. Il 25 settembre passerà l’onda e si porterà via per sempre i gesti bianchi del migliore di tutti. L’unico augurio che gli si possa fare è di non voltarsi indietro.





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