A Washington siglata una prima intesa tra Kinshasa e Kigali per porre fine al conflitto scatenato dai ribelli dell’M23 che, secondo l’Onu, sono sostenuti dal Rwanda. A firmare la dichiarazione, il ministro degli Esteri congolese, Thérèse Kayikwamba Wagner, e l’omologo rwandese, Olivier Nduhungirehe, oltre che il segretario di Stato americano Marco Rubio. Le violenze degli ultimi mesi hanno provocato almeno 7.000 morti e 1,2 milioni di sfollati e profughi
Giada Aquilino – Città del Vaticano
Una settimana di tempo per abbozzare un progetto di accordo di pace e risolvere il conflitto in corso nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, scatenato dai ribelli M23, sostenuti secondo l’Onu dal Rwanda. È l’intesa siglata ieri a Washington dalle autorità di Kinshasa e Kigali, con la mediazione degli Stati Uniti, che si sono impegnate a trovare una convergenza d’opinioni entro il 2 maggio. La dichiarazione di principi è stata firmata dal ministro degli Esteri congolese, Thérèse Kayikwamba Wagner, e dall’omologo rwandese, Olivier Nduhungirehe, oltre che dal segretario di Stato americano, Marco Rubio.
I particolari dell’intesa
A sorpresa, mercoledì scorso il governo congolese e i miliziani dell’M23 avevano pubblicato per la prima volta — nel quadro di una tornata di colloqui in Qatar — una dichiarazione congiunta per «lavorare» alla conclusione di una tregua. Ora, con il testo firmato negli Stati Uniti, Repubblica Democratica del Congo e Rwanda si sono inoltre impegnate a «riconoscere reciprocamente la sovranità e l’integrità territoriale, ad affrontare i problemi di sicurezza, a promuovere l’integrazione economica regionale, a facilitare il ritorno degli sfollati, a sostenere la Missione Onu (Monusco)». Senza nominare esplicitamente l’M23, i due Paesi hanno dichiarato di «astenersi dal fornire sostegno militare» a gruppi armati «non statali».
L’emergenza umanitaria e gli appelli di Papa Francesco
Il conflitto nell’est della Repubblica Democratica del Congo, al confine con il Rwanda, si è inasprito dalla fine di gennaio, quando l’M23 ha conquistato prima Goma e poi Bukavu, rispettivamente capoluoghi del Nord e del Sud Kivu, in un territorio ricco di minerali come l’oro e il coltan, essenziali per l’industria tecnologica e la produzione di telefoni cellulari. Da allora, in base ai dati diffusi dalle autorità locali, si contano almeno 7.000 morti. A questi, nel quadro di un’emergenza umanitaria per la cui soluzione ha pregato più volte Papa Francesco esortando a porre fine alle ostilità, si aggiungono circa 1,2 milioni di persone sfollate per le violenze, secondo le stime dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) delle Nazioni Unite.