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«Portiamo a teatro i volontari che salvano i migranti in mare»



L’equipaggiamento della Sea-Watch con i registi dello spettacolo Enrico Baraldi e Nicola Borghesi

La finzione accantonata, la realtà in scena. È quella dell’umanità migrante che attraversa (e muore) nel Mediterraneo centrale. È quella di chi – soccorritrici e soccorritori – ha deciso di dedicare una parte della propria vita al soccorso in mare e tenta di impedire il ripetersi di queste tragedie.

Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, fondatori e componenti della compagnia teatrale Kepler-452, hanno portato in teatro quest’«accumulo di storie» nello spettacolo A place of safety. Viaggio nel Mediterraneo centrale che debutta in prima assoluta al Teatro Arena del Sole di Bologna il 27 febbraio (una produzione di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale insieme a Teatro Metastasio di Prato, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Théâtre des 13 vents CDN Montpellier e in collaborazione con Sea-Watch ed Emergency).

Lo spettacolo è il frutto di un lungo periodo di indagine sul campo sul tema del soccorso in mare, cominciato con una serie di dialoghi tra Baraldi e Borghesi, che firmano regia e drammaturgia, e alcuni referenti di ONG impegnate nelle operazioni di soccorso, proseguito con un periodo di residenza a Lampedusa e con la successiva partenza per la rotta mediterranea a bordo della nave Sea-Watch 5, l’11 luglio 2024 dal porto di Messina. Nell’arco di quasi cinque settimane di navigazione la nave ha soccorso 156 persone, sbarcate poi nel “place of safety” assegnato, il porto di La Spezia. La nave, con Baraldi e Borghesi a bordo, è tornata il 5 agosto in Sicilia al termine della missione.

Baraldi e Borghesi, com’è nato questo progetto?

«La rappresentazione teatrale è l’ultima tappa del percorso. La nostra compagnia, Kepler- 452, nata nel 2015, si occupa da dieci anni di teatro documentario e partecipativo. Raccontiamo la realtà attraverso lo strumento del teatro coinvolgendo i reali protagonisti delle storie che portiamo in scena. Il nostro è uno scandaglio su contraddizioni e conflitti politici o sociali».

Avete fatto altri spettacoli su questo stile?

«Sì, Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto, che portava in scena la lotta degli operai del Collettivo di fabbrica GKN di Campi Bisenzio, vicino Firenze. Da quell’esperienza, in cui abbiamo portato in scena un gruppo di quattro operai, abbiamo deciso di continuare la ricerca all’interno delle contraddizioni del presente, allargando l’orizzonte fino a gettare lo sguardo a quel che accade nel Mediterraneo, al confine dell’Italia e dell’Europa. Il Mediterraneo oltre ad essere il luogo di una tragedia che va avanti da almeno dieci anni è diventato anche un luogo di scontro e conflitto politico. Un anno e mezzo fa abbiamo cominciato un percorso di studio e ricerca insieme a due Ong, prima la Sea-Watch e poi Emergency, intervistando persone che a diverso titolo hanno operato sulle navi di ricerca e soccorso di queste e anche di altre Ong. Dopo queste interviste, abbiamo deciso di imbarcarci sulla Sea Watch. Il nostro focus è stato fin da subito le storie dei soccorritori, cosa li spinge, le motivazioni che hanno, perché hanno scelto un’esperienza così faticosa e, per certi aspetti, drammatica».

L’esperienza a Lampedusa e poi a bordo della Sea-Watch come ha plasmato lo spettacolo?

«Senza l’esperienza sul campo non ci sarebbe stato neanche lo spettacolo perché stare in mare con gli operatori umanitari era il prerequisito per raccontare quello che accade come ci ha detto Miguel Duarte, capomissione di Iuventa e Sea-Watch, che è anche uno dei protagonisti dello spettacolo. La missione che abbiamo vissuto la scorsa estate fa un po’ da cornice narrativa a tutto il resto del lavoro».



Alcuni protagonisti dello spettacolo “A place of safety”: Giorgia Linardi, Enrico Baraldi, Flavio Catalano, Floriana Pati

Chi sono gli altri “attori” che portate in scena?

«Oltre a Duarte, impegnato dal 2016 in operazioni di ricerca e soccorso in mare nel Mediterraneo e che per il suo lavoro sulla Iuventa ha rischiato fino a venti anni di carcere per un’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina finita con l’assoluzione, ci sono Flavio Catalano che nel 2022 è stato nel team di allestimento della Life Support, la nave di Emergency; Giorgia Linardi, giurista e portavoce di Sea-Watch, che ha partecipato a diverse missioni sulle navi di soccorso e di monitoraggio aereo nel Mediterraneo Centrale e nell’Egeo, da Lampedusa, Malta e dall’isola greca di Lesbo. Floriana Pati, infermiera, impegnata dal 2022 sulla Life Support a bordo della quale ha partecipato a cinque missioni nel Mediterraneo e José Ricardo Pena, americano del Texas, figlio di immigrati, che due anni fa ha fatto domanda per lavorare come elettricista marittimo sulla Sea-Watch con cui ha fatto quattro missioni».

Il fatto di dare direttamente la voce ai protagonisti non è una sorta di “sfiducia” verso la mediazione del teatro? L’arte racconta reiventando, attraverso la finzione. Voi avete compiuto un’operazione quasi giornalistica.

«Enrico, durante la missione, ha scritto una rubrica per Il Fatto Quotidiano e ha documentato con alcuni video quello che accadeva e che abbiamo visto. Ma la parte “giornalistica” è finita con la conclusione della missione. Per noi la possibilità di avere delle persone che hanno visto e vissuto questo fenomeno con i loro occhi e che hanno agito con il loro corpo è un grande valore aggiunto ed è molto diversa, dal punto di vista teatrale, scenico e del racconto, rispetto che ad affidarlo ad attori professionisti. Non è tanto una sfiducia nelle possibilità del teatro, ma appunto una fiducia ancora maggiore nella possibilità del teatro di essere un luogo aperto ad accogliere storie, testimoni diretti, vissuti personali. Se vogliamo, è il ritorno all’idea di un teatro come luogo di formazione civica ed espressione dell’agora, come avrebbero detto i greci del quinto secolo, in cui due comunità si incontrano – una per raccontare una storia e l’altra per sentirsela raccontare. Come già accade tra cinema e documentario, anche il teatro si può inserire in questo filone di non mediazione e tessere questo filo diretto tra testimoni e ascoltatori».

Il fenomeno dell’immigrazione è complesso, foriero di polemiche furiose e scontri ideologici. Qual è il messaggio che voi sperate che passi da questo spettacolo?

«Ci piacerebbe che su questo tema così polarizzante non ci fosse un messaggio, ma piuttosto un dibattito, uno scambio dialettico perché la questione è troppo complessa per essere riassunta in un dato univoco. Stare su quelle navi ti restituisce proprio una complessità che sgombra il campo da soluzioni facili. Il fenomeno è epocale, non ha i tratti dell’emergenza, è un groviglio mentre noi abbiamo l’irresistibile desiderio di ridurlo a qualcosa di univoco. Al tempo stesso, speriamo che attraverso questo spettacolo ci si ricordi, sempre, che gli esseri umani sono esseri umani e la vita umana vale sempre e che persone che dedicano la propria vita, o una parte della propria vita, a questa missione celebrano la vita e sono meritevoli di rispetto. Sempre».



Nicola Borghesi a bordo della Sea-Watch

 

Come avete scelto i protagonisti dello spettacolo?

«Il primo criterio è stato l’affinità reciproca che è nata con alcuni di loro. Il secondo è il tentativo di cercare di rappresentare la complessità e la diversificazione di questo mondo delle missioni in mare. Per esempio, un dato che ci ha sorpreso molto è che si tratta di un mondo fortemente femminile, anche se si tratta di marineria, un lavoro tradizionalmente duro e di grande fatica. Le protagoniste femminili dello spettacolo incarnano, ognuna, sensibilità diverse. Floriana è un’infermiera e si occupa di cura, Giorgia ha un ruolo più politico e diplomatico. È veramente un lavoro di squadra con un team fortemente internazionale se pensiamo appunto a José Ricardo Pena che arriva dall’altro lato dell’Oceano e si è sentito quasi “chiamato” nel Mediterraneo dove non solo si sta consumando una tragedia epocale ma anche una battaglia politica. Non a caso, qualche giorno fa Elon Musk, uno degli uomini più potenti del mondo in questo momento nonché principale collaboratore del presidente americano Trump, si è preso la briga di attaccare direttamente la Sea-Watch. Questo è un segnale eloquente di come il Mediterraneo sia diventato un campo di battaglia che riguarda davvero le politiche mondiali. Stiamo assistendo a una polarizzazione ideologica pericolosa».

Dal punto di vista emozionale, cosa vi ha dato questo progetto?

«Noi non siamo particolarmente religiosi ma grazie a questo spettacolo, forse per la prima volta, il tema della religione è entrato nel nostro lavoro e nelle nostre vite. Non è un caso».

In che senso?

«La vicinanza ai temi della vita e della morte, del valore e del senso della vita sono temi che hanno a che fare profondamente con la religione. Assistere a operazioni di salvataggio di persone in pericolo, essere in mezzo al mare, che è un luogo ostile, conduce naturalmente verso la contemplazione e la relazione con la propria spiritualità».

Com’è stata l’esperienza sull’isola di Lampedusa prima della missione?

«Molto affascinante. Ci ha molto impressionato lo scorrere parallelo della vita balneare e turistica con questa tragedia. Abbiamo assistito ad alcuni sbarchi autonomi di migranti e abbiamo visto in faccia le persone che si sono fatti tutto il viaggio in mare, ne abbiamo sentito l’odore, visto i corpi esausti. Abbiamo fatto tante interviste e raccolto storie e la nostra impressione è che l’isola di Lampedusa sia una comunità che possiede gli anticorpi per affrontare e reagire a questo fenomeno con solidarietà, condivisione con chi arriva e capacità di accoglienza. È come una memoria antica che si riattiva e tende la mano verso chi è in difficoltà».



Enrico Baraldi a bordo della Sea-Watch





Dal sito Famiglia Cristiana

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