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«Per la pace non servono sforzi moralistici ma un cambiamento radicale di come guardiamo la realtà»

Il Messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace 2025 invita ciascuno di noi «a rafforzare e consolidare la nostra fede; a rinnovare il nostro impegno alla conversione e al disarmo».

Così il cardinale Michael Czerny, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, nel suo intervento giovedì mattina in Sala Stampa vaticana durante la presentazione del Messaggio il cui tema, scelto dal Pontefice, è “Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace”. All’incontro hanno partecipato anche come relatori Krisanne Vaillancourt Murphy, direttore esecutivo di Catholic Mobilizing Network; e l’ingegnere Vito Alfieri Fontana, ex progettista e fabbricante di mine antiuomo alla guida dell’azienda di famiglia, la Tecnovar di Bari, che dopo una drammatica conversione nel 1993 è diventato sminatore umanitario nei Balcani come racconta nel libro Ero l’uomo della guerra (Laterza) pubblicato l’anno scorso.

«Le idee di “peccati” e “debiti” sono incorporate nel significato biblico di giubileo», ha spiegato il cardinale Czerny, «la parola deriva da yobel, il corno di montone che annuncia il tempo “di perdono e libertà per tutto il popolo”. ogni 50 anni. Ciò risale alla Legge di Mosè nei tempi biblici antichi. La Chiesa ha impiegato questo modello di Giubileo fin dall’anno 1300. Coerentemente con il significato antico, il Santo Padre parla dei Paesi poveri. Nel nostro tempo, dice, ciò deve includere la conversione dei cuori, la cancellazione del debito estero o internazionale e il pagamento del debito ecologico».

Sul disarmo il cardinale Czerny ha spiegato che «il suono forte del corno d’ariete non ci invita a uno sforzo moralistico di auto-miglioramento, ma a un cambiamento radicale nel modo in cui guardiamo la realtà. Quando affidiamo il presente a Dio e viviamo oggi nella fede e nel servizio, il futuro non è più minacciato. Invece, attendere il Signore, prestare attenzione ed esercitare responsabilità, si esprimono concretamente nell’agire per il bene, per l’unità e per la cura. L’oggi e il domani», ha proseguito, «sono nelle mani misericordiose e provvidenziali di Dio Padre, così come Gesù Cristo proclama chiaramente e come lo Spirito Santo ci consola costantemente. Tale fede libera i nostri cuori dall’angoscia, per rispondere e servire. Rilassa il volto! Sorridi ai tuoi fratelli e alle tue sorelle! Rendi grazie per la terra, la nostra casa comune! Riconosci in loro la presenza di Colui che ci sorride per primo. Quasi a voler riassumere la sfida del Giubileo, Papa Francesco invita noi, l’intera famiglia umana, a disarmare i nostri cuori. Concretamente, egli propone tre gesti urgenti di distensione e di pace: condonare il debito estero, eliminare la pena di morte e istituire un Fondo mondiale per sradicare la fame nel mondo».

L’ingegnere Fontana nel suo intervento ha raccontato le due vite che ha vissuto – la prima da progettista e fabbricante di mine antiuomo e la seconda da sminatore umanitario – riflettendo sul tema della Giornata Mondiale della Pace: «Quando ero un fabbricante di armi pensavo che la guerra fosse connaturata con l’animo umano. Messaggi rivolti alla responsabilità ed alla solidarietà meritavano una scrollata di spalle se non qualche commento ironico. Chi lavora nel settore degli armamenti si dà da fare ad offrire ai clienti prodotti che assicurano soluzioni rapide ed efficaci per affrontare una guerra. E ci sono clienti che ci credono o fingono di crederci. L’importante è che venditore e compratore facciano un buon affare. Le guerre invece», ha proseguito, «si immergono rapidamente nel fango delle trincee e durano anni. Magari il trucco è tutto lì per continuare all’infinito le forniture e moltiplicare i prezzi “sennò il fronte crolla”. La vita insomma non era male, i problemi morali si affacciavano e sparivano pensando che, se non avessi fabbricato io le mine antiuomo, l’avrebbe fatto qualcun altro. Le tensioni internazionali mantenevano stabile il lavoro e per una guerra fredda che finiva ne arrivava un’altra in Medio Oriente e via così… Poi qualcosa inceppa il meccanismo: le domande dei figli che ti chiedono cosa fai e perché lo fai, la pressione di un’opinione pubblica che scopre il problema dell’uso delle mine antiuomo, l’invito al dialogo del venerabile don Tonino Bello che chiedeva di pensare alla mia vita se non a cambiarla. La vita l’ho cambiata però cercando di porre un minimo rimedio al “prima”. Quello che per me era normale era diventato un peso». Fontana con grande franchezza ha raccontato gli anni difficili del cambiamento: «Esci da una bolla privilegiata in cui vive quell’uno per cento di popolazione che produce, controlla e distribuisce armi ed entri in un mondo che non ti aspetti. Un mondo dove miliardi di persone vogliono e sperano di vivere e convivere in pace. Ma, come dice il Santo Padre, la coscienza di pace della gente comune viene lacerata dalla menzogna, dall’inutile disuguaglianza, dalla paura, dalla mancanza di sostentamento facendo il gioco dell’esigua minoranza che gestisce ed alimenta per i propri scopi i conflitti di ogni tipo. Dopo avere lavorato nello sminamento più di quindici anni passati nei Balcani, dopo la sanguinosa guerra degli anni Novanta del secolo scorso, posso dire che poche volte io ed i miei colleghi siamo stati ringraziati. Chi è toccato dalla guerra o da qualsiasi altra disgrazia che gli ha devastato la vita, intendendo terra, lavoro, famiglia non pensa di ricevere un aiuto anche se fraterno ma pretende invece un risarcimento per il dolore inutile dal quale è stato schiacciato. Finito il lavoro di bonifica, la gente si è rimessa a lavorare senza inutili chiacchiere. Al massimo, come succedeva in Kossovo, ti chiedevano travi di legno, mattoni e tegole per ricostruire le case e se la sarebbero vista loro. La grande guerra in Medio Oriente ora richiede la posa di campi minati che avranno poco effetto da un punto di vista militare ma rappresenteranno una futura vendetta per chi cercherà di ritornare nelle proprie case o cercherà di occupare quelle abbandonate da chi è scappato. Che debiti possono avere verso il resto del mondo delle popolazioni colpite da guerre, carestia e sfruttamento?», ha chiesto Fontana, «credo che dobbiamo pensare come il Santo Padre e sentirci noi debitori».





Dal sito Famiglia Cristiana

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