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Pasqua in carcere, don Pilò: segni di speranza contro la nostalgia di casa


Per 27 anni cappellano della casa circondariale di Catanzaro, da marzo il sacerdote presta il suo servizio tra i detenuti più giovani, ospiti dell’istituto di pena minorile della città. “Ho trovato poca esperienza religiosa – racconta – ma tanta apertura alla sperimentazione”

Roberta Barbi – Città del Vaticano

“Il punto di partenza è uno: la Pasqua è una persona, la persona di Cristo Risorto”. Fa chiarezza, prima di tutto, don Giorgio Pilò, attuale cappellano dell’Istituto penitenziario minorile (Ipm) di Catanzaro, quando si parla di come si vive la Pasqua in carcere. Quest’anno, per la prima volta dopo 27 anni, nei quali l’ha vissuta accanto ai detenuti adulti della casa circondariale della città, la vivrà tra i ristretti più giovani: “Gli adulti hanno un’esperienza religiosa di qualche tipo, per tradizione familiare, o in parrocchia da piccoli – spiega così ai media vaticani la differenza tra i due contesti carcerari – i giovani invece non ne hanno nessuna, ma al tempo stesso hanno voglia di sperimentare cose nuove. Con loro il linguaggio tradizionale non funziona, dobbiamo essere creativi. Ad esempio, a Messa leggiamo solo il Vangelo e poi lasciamo spazio alle loro domande”.

Ascolta l’intervista con don Giorgio Pilò:

Una primavera di vita “vera”

Anche il carcere, insomma, può essere luogo in cui imparare e scoprire: “Qui dentro ho trovato giovani desiderosi di novità, di crescita”, racconta ancora don Giorgio, ricordando il primo ingresso in Ipm, poco più di un mese fa. Con queste premesse, il terreno per l’annuncio del Vangelo appare fertile: “Il minorile è un mondo complesso; il denominatore comune di questi ragazzi è il desiderio di vita. Si troverebbero già, per la loro età, nella fase della primavera della vita, ma è una primavera compromessa, ferita, invece c’è bisogno di una primavera nuova, di una Pasqua nuova!”.

Una pastorale legata all’incontro

Nella realtà quotidiana del cappellano, anche molti detenuti stranieri, che nonostante le differenze riescono a instaurare con il sacerdote un rapporto particolare. “Erano in 18 i giovani che hanno concluso l’ultimo Ramadan il 30 marzo – afferma – con loro come con gli altri tutto si gioca sull’incontro, sull’ascolto e sul tempo che hai da dedicare loro e che deve essere senza limiti. Io credo che tutto il lavoro della Pastorale carceraria consista in questo: ‘perdere tempo’ con i detenuti senza un obiettivo, lasciare che si avvicinino e pian piano aprire la strada a un dialogo sempre più personale”.


La locandina dell’iniziativa del cappellano dell’ipm per portare la città in carcere

Comunicare la speranza ai reclusi

Nella Pasqua dell’Anno Santo c’è bisogno di ancora più segni di speranza per i detenuti che, specie nelle occasioni legate alle festività, accusano in maniera particolare la lontananza da casa: “I ristretti soffrono già per la privazione della libertà personale, cui si aggiunge oggi la sofferenza legata alla lontananza dalla famiglia che si fa assenza lacerante – prosegue don Giorgio – ognuno a casa ha anche le proprie tradizioni, i propri riti per la Pasqua. Noi in carcere cerchiamo di riprodurli in modo semplice, con qualche ramo d’ulivo e una colomba. In occasione del Giovedì Santo, inoltre, il vescovo è venuto qui per la Lavanda dei piedi”. “La speranza è il motivo per cui siamo nel mondo, comunicarla è il nostro lavoro pastorale da sempre – conclude il cappellano – inoltre da maggio intraprenderemo un’iniziativa che consentirà alla cittadinanza, gruppi, parrocchie, scout ecc, di portare un segno di speranza con la loro presenza in carcere. Speriamo che serva ai ristretti per farli sentire meno soli”.   



Dal sito Vatican News

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