di Lorenzo Rossi
Nel cuore del dibattito sociale e politico britannico emerge un tema di grande attualità: il congedo parentale per i papà. Un argomento che sta guadagnando attenzione grazie a una campagna inusuale chiamata “Dad Shift”, lanciata di recente nel Regno Unito da un gruppo di uomini determinati a cambiare le regole del gioco.
L’iniziativa ha un obiettivo preciso: ottenere per i padri un congedo paragonabile a quello concesso alle madri al momento della nascita dei figli. Al centro di questa battaglia, i sostenitori di “Dad Shift” puntano il dito contro la storica disparità tra i sessi in termini di tempo e sostegno offerti ai genitori. E lo fanno con una forma di protesta creativa, che ha già attirato l’attenzione dei media: in varie città del Regno, statue di uomini illustri sono state “adornate” con fagotti contenenti bambole in dimensioni bebè.
Le prime incursioni si sono concentrate a Londra, da Leicester Square – dove troneggia la statua del leggendario ballerino Gene Kelly – fino a Covent Garden, teatro della presenza maestosa di Laurence Olivier, icona shakespeariana. Anche figure sportive non sono state risparmiate, come Tony Adams e Thierry Henry, celebrati nei pressi degli stadi.
La provocazione è chiara: la cultura britannica celebra le grandi figure maschili, ma quando si tratta di riconoscere ai neo-papà un periodo di congedo degno di tale nome, il sistema è tra i più arretrati in Europa. Attualmente, i padri nel Regno Unito hanno diritto a un massimo di due settimane di congedo non retribuito, con un sussidio irrisorio di 184,03 sterline a settimana. Numeri che, secondo i promotori, non solo non tengono conto delle sfide economiche per le famiglie, ma sono anche un affronto alla parità di genere.
In questo quadro, “Dad Shift” spera di trovare ascolto nel governo laburista di Keir Starmer, recentemente eletto. L’intenzione dei promotori è di inviare al nuovo esecutivo una lettera aperta, nella speranza di sollecitare una riforma che riconosca finalmente il ruolo dei padri all’interno del nucleo familiare.
Non mancano però le preoccupazioni sui costi. In un periodo di austerità, con tagli al bilancio pubblico annunciati, il cambiamento potrebbe sembrare irrealistico. Tuttavia, i sostenitori della campagna ribattono con dati che mostrano un effetto positivo nel medio termine, in particolare nei Paesi che hanno introdotto congedi di almeno sei settimane anche per i padri. In questi contesti, si è osservato un divario salariale di genere ridotto del 4% e una partecipazione femminile al mercato del lavoro più alta del 3,7%. Numeri che invitano a riflettere.
“Dad Shift” non è solo una questione di diritti individuali, ma tocca il cuore del dibattito sull’equità sociale e sul futuro delle politiche familiari in Europa. Se il Regno Unito deciderà di rispondere alla chiamata di questi padri, potrebbe nascere un nuovo capitolo nella storia del welfare britannico.