papa francesco: essere breccia per Gesù e per il suo vangelo

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Cari amici lettori, in questo mese missionario di ottobre, nella serie degli zoom dedicati alle “Donne per la missione” (pag. 29), vi presentiamo una bellissima figura del Novecento, Madeleine Delbrêl, una missionaria diversa da quelle che abbiamo nel nostro immaginario sui religiosi che partono alla volta di terre e civiltà lontane. Madeleine, dopo una folgorante conversione dall’ateismo alla fede cristiana, ha vissuto la sua missione qui in terra europea, in una periferia difficile come quella operaia di Ivry, alle porte di Parigi. Lì ha vissuto e annunciato il Vangelo, quel Gesù da cui era stata “afferrata” e di cui si era innamorata, con la vicinanza a quella gente “diseredata” nel cuore dell’Europa. La sua figura ha chiare consonanze con la “Chiesa in uscita” di cui ci parla papa Francesco.

Ma ci ricorda anche una realtà fondamentale nella vita cristiana: si “esce” sulle strade del mondo, si vive la carità in mezzo alla gente, nella misura in cui si è “ricevuto”, ci si è radicati in Gesù e nel suo amore. «Ci sembra che la nostra vocazione sia vivere l’amore di Gesù interamente e alla lettera […] consegnandosi completamente mani e piedi al suo amore, perché amandolo perdutamente e lasciandoci amare fino in fondo, i due grandi comandamenti della carità si incarnino in noi e diventino uno». Un tema che altrove ri-esprime dicendo che dobbiamo essere «breccia per il Vangelo»: essere un varco aperto, consentire a Dio di farsi spazio in noi, una feritoia in cui entra la luce della grazia ma che consente anche di farla passare agli altri.

Per dirla con le parole di papa Francesco, si tratta di «far traboccare la misericordia». Altrove Delbrêl parla della lettura del Vangelo come di un dialogo fra due persone che si amano: come se uno avesse perduto una persona amata e ora ne possiede delle lettere, qualche nota scritta che dice qualcosa della sua vita, «e ci sembra di aver trovato un tesoro». E, spiega ancora, «se per caso queste note riguardassero ciò che quella persona pensava di noi, pensava per noi, desiderava che noi facessimo, esse diventerebbero il nostro pensiero dominante. […] Il Vangelo è un po’ tutto questo per noi o, almeno, dev’esserlo». Si tratta di cercare nel Vangelo «qualcosa del Signore vivo che ancora ignoriamo: la sua parola, il suo pensiero, il suo modo di fare, ciò che vuole da noi; insomma, più lui stesso», lasciando che «la luce che gli è propria ci illumini e vivifichi». Parole di spessore mistico, che ricordano da vicino quanto papa Francesco ha detto nell’udienza di mercoledì 28 settembre, parlando della preghiera, che non può essere un «recitare preghiere come un pappagallo, bla bla bla», ma è «aprire il cuore a Gesù, avvicinarsi a Gesù, lasciare che Gesù entri nel mio cuore e ci faccia sentire la sua presenza», «entrare in intimità con il Signore, con una spontaneità affettuosa», «vedere Gesù come il nostro amico più grande, il nostro amico fedele».

È questa la componente “mistica” che tutti dobbiamo, personalmente, riscoprire e sperimentare, l’unica fonte che ci può portare a «gesti e opere buone» che fanno sentire agli altri la vicinanza di Dio attraverso la prossimità di chi crede in Lui. Ed è questa confidenza di amici del Signore che ci fa osare di pregare ancor più intensamente perché si ponga fine a questa folle guerra tra Russia e Ucraina imboccando finalmente la via del dialogo e della diplomazia, in questa ora buia che rischia di avvicinarci a un disastro nucleare.





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