Fino al 6 aprile il Castello di Novara, negli ultimi anni teatro di diverse pregevoli mostre dedicate alla pittura dell’Ottocento, ospita Realtà impressione simbolo, Paesaggi da Migliara e Pellizza da Volpedo. Con oltre settanta opere esposte da collezioni pubbliche e private, di 36 artisti tra Liguria, Piemonte, Lombardia e Svizzera, la rassegna, a cura di Elisabetta Chiodini, guida il visitatore alla scoperta dell’evoluzione di un genere esploso proprio nel XIX secolo con il paesaggio come soggetto autonomo e che in cento anni ha cambiato più volte pelle: l’aria tersa, trasparente, delle vedute di Canella, che non offusca la precisione grafica dei dettagli lontani, progressivamente si passa a visioni via via più soggettive che la rassegna documenta attraverso nove sezioni, dal naturalismo romantico influenzato dalle esperienze d’Oltralpe, alla pittura d’impressione che trova suggestioni luminose e uniche nei Campi di Giorgio Belloni (foto) e nei paesaggi anche urbani di Mosè Bianchi e del primo Giovanni Segantini, dove la pennellata si destruttura mentre i particolari si disgregano avvicinandosi alle tele, per farsi prodigio di particolari dettagliati dalla luce nella visione da lontano.
È l’epoca in cui si esprime al massimo la pittura en plein air che in Francia ha fatto la fortuna degli impressionisti. Man mano che si percorre la mostra il percorso tecnico artistico porta al divisionismo, movimento italiano di fine secolo, che rielabora il concetto del puntinismo francese, contaminandolo con il simbolismo: pennellate brevissime di colori giustapposti puri scompongono l’immagine sulla tela, lasciando alla retina dell’osservatore il compito di ricomporla visivamente: il risultato è l’arte magistrale dell’ultimo Giovanni Segantini (sua l’opera Mezzogiorno sulle Alpi, 1891, che dà l’immagine alla locandina e la copertina al catalogo (Mets, percorsi d’arte, 35 euro) di Giuseppe Pellizza da Volpedo di cui la mostra espone il magistrale ancorché giovanile Sul fienile, opera nata da una suggestione luminosa luce-ombra: «Montai un giorno sul fienile chiamatovi da mio padre», scrive Pellizza. «Il fienile oscuro ed il paesaggio fortemente illuminato m’impressionavano: fu un attimo: io decisi di farne un quadro. Se non che bisognava ch’io lo rendessi interessante con qualche fatto umano; questo non poteva che essere triste». Nasceva così la scena del viatico al lavoratore morente, quasi impercettibile nell’ombra in controluce.
A questo ampio percorso storico artistico lungo un secolo si assiste camminando per la mostra in cui si attraversa un secolo, rapidamente, con un suggestivo effetto time-lapse, quel processo digitale che consente di mostrare in pochi secondi la maturazione di un frutto, lo sbocciare di un fiore, la crescita di un albero. È proprio questo effetto di assistere a un’evoluzione attraverso una ricca selezione il lato più interessante di questa esposizione in cui il paesaggio si declina in sguardi diversi fino a raggiungere vette altissime di grande suggestione: tra queste certamente a fine percorso L’Aquilone di Carlo Fornara (1902) in cui colori pastello e pennellate orizzontali riescono nel prodigio di dipingere, con uno stupefacente effetto sinestetico, un gelido vento di tramontana.

Pellizza da Volpedo, il documentario
In conclusione del percorso un video mostra un estratto del documentario Pellizza, pittore da Volpedo, Pellizza pittore da Volpedo di Francesco Fei con Fabrizio Bentivoglio, prodotto da Apnea Film con la partecipazione di METS Percorsi d’Arte e presentato in anteprima alla scorsa Festa del Cinema di Roma. Nei cinema il 4 e 5 febbraio. Attraverso la voce narrante di Fabrizio Bentivoglio che guida lo spettatore nella casa museo di Pellizza e lungo le strade di Volpedo che hanno fatto da sfondo all’opera dell’artista, il documentario ripercorre, fin dagli anni degli studi, la precoce maturazione artistica del pittore piemontese, che pur scomparso giovane, ha rappresentato una pietra miliare per la pittura a sfondo sociale dell’Ottocento, di cui il Quarto stato è diventato simbolo planetario, ma anche di un modo unico di rappresentare la natura tra realtà e simbolo di cui è modello esemplare Lo specchio della vita. Il docu-film è l’occasione per cogliere il contesto in cui l’artista si è formato, per farsi un’idea del percorso tecnico-espressivo, ma anche per ricostruirne l’evoluzione e apprezzarne la consapevolezza e la carica innovativa.