Non di solo fare vivrà l’uomo

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Don Luigi Epicoco riflette sul periodo estivo per una teologia della vacanza: questa parola, afferma, indica un vuoto, uno spazio in cui è possibile far vibrare, nella quiete del riposo, l’eco di una voce più alta

di Luigi Maria Epicoco

Il verbo fare è il verbo a cui siamo più affezionati. Lo siamo talmente tanto che siamo disposti a sacrificare per esso anche il verbo essere. Il fare è il nostro modo di non pensare troppo, di non entrare in noi stessi, di non guardare in faccia le cose serie della vita. Il fare ci dà subito soddisfazione, prende sul serio il nostro innato bisogno di conferme, di appagamento. Il fare troppo spesso diventa la nostra religione. Se volessimo usare un’immagine cara a sant’Ignazio dovremmo dire che usiamo il fare per non entrare in desolazione.

 Ma delle volte è necessario entrare nel vuoto, nella mancanza che ci abita. È la famosa necessità della fame che il tentatore cerca di togliere a Gesù nel deserto: «dì che queste pietre diventino pane». Gesù esorcizza il male rispondendo colpo su colpo a una simile tentazione: «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4, 1-11). Non di solo fare vivrà l’uomo, potremmo aggiungere noi.

Ecco allora cos’è il tempo della vacanza. Essa non è semplicemente la trasgressione necessaria a sopportare nuovamente una lunga stagione di lavoro. Il tempo del riposo, come ci ha ricordato di recente Papa Francesco, è il tempo dell’ecologia del cuore, il tempo in cui il riposo, la contemplazione e la compassione diventano gli ingredienti giusti per ridimensionarci. La vacanza è proprio nella sua etimologia la capacità di essere vuoti, di dare ciò spazio a quella fame/mancanza che ognuno si porta nel cuore, e nel cui eco Dio finalmente può parlare.

Udire la parola di Dio dentro le nostre mancanze, dentro il nostro cuore, significa sperimentare una pienezza che nessuna soddisfazione del mondo può darci. Passiamo la vita a cercare di fare cose che ci rendano felici, ma la vera felicità è smettere di affannarsi e accorgerci che tutto quello che stavamo cercando con foga non è lontano da noi. Il necessario che ci serve per essere felici è tutto racchiuso nell’ascolto del verbo essere, di chi siamo veramente, di quella immagine e somiglianza con Dio che ognuno si porta dentro.

 Arrivano allora come un balsamo anche per noi le parole del Deuteronomio: «Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te.  Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?  Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30, 11-14). Il tempo del riposo è così scovare quella parola nascosta nella nostra bocca e nel nostro cuore, e che fa fatica a emergere quando la vita la trangugiamo e il cuore è solo colmo di affanni e preoccupazioni.

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