Non c’è tempo per la rabbia

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«C’è un tempo per nascere e un tempo per morire…». Sono le note parole del libro di Qoèlet che parla delle azioni contrapposte della vita: un tempo per fare ogni cosa e il suo contrario, scegliendo in piena libertà, ben sapendo che (purtroppo) non si può mai tornare indietro nella vita. Oggi nelle Marche alluvionate è il tempo del dolore e del lutto.

(foto: Daniele Morini)

«C’è un tempo per nascere e un tempo per morire…». Sono le note parole del libro di Qoèlet che parla delle azioni contrapposte della vita: un tempo per fare ogni cosa e il suo contrario, scegliendo in piena libertà, ben sapendo che (purtroppo) non si può mai tornare indietro nella vita. Oggi nelle Marche alluvionate è il tempo del dolore e del lutto. Tuttavia per molti di noi può essere anche un momento prezioso per riflettere sull’amore vero, quello capace di andare oltre la morte e che dimostra che esiste perfino “un tempo per non arrabbiarsi”. Difficile da immaginare quando in un attimo la furia delle acque, con la probabile complicità umana, uccide undici persone e causa numerosi feriti e sfollati. Quei pochi minuti dello scorso 15 settembre qui purtroppo rischiano di non finire più visto che si scava ancora a mani nude nel fango alla ricerca di due persone disperse ormai da giorni. Si tratta di Brunella Chiu, mamma di Noemi, la diciassettenne trovata morta all’indomani dell’esondazione dei fiumi Misa e Nevola. E poi c’è il piccolo Mattia Luconi di appena otto anni affetto da autismo che due giorni fa era tornato sul suo banco di scuola, in terza elementare a San Lorenzo in Campo. Un bimbo speciale conosciuto e amato da tutti che si divertiva a girare con il papà in motorino lanciando baci e saluti. Ogni giorno passava in chiesa per accendere decine di candele; adorava il mare, i nonni, gli amici e gli animali. La furia della tempesta l’ha strappato alle braccia di sua mamma Silvia che dal letto dell’ospedale di Senigallia non smette di chiedere di poter uscire per andare a cercare suo figlio. Papà Tiziano invece fa l’educatore alla “Casa della Gioventù” di Senigallia che ospita minori stranieri non accompagnati. Lui è convinto ancora di poter riabbracciare Mattia. «Quando sono corso la prima volta al ponte di mattoni a cercarlo – racconta – un carabiniere mi ha detto di allontanarmi perché stavo rischiando la vita. Gli ho risposto che non ho più nulla da perdere perché la mia vita è quel bambino». A chi gli domanda se prova rabbia oppure odio per quello che è accaduto risponde: «non ho tempo per arrabbiarmi perché devo stare lì in mezzo al fango per trovare mio figlio anche a costo di ribaltare ogni singolo filo d’erba, e se mai dovesse essere morto allora inizierò a girare l’Italia per raccontare il mio Mattia, la nostra splendida vita. Non parlerò mai di morte. Solo così risveglierò le coscienze sopite».





Da agensir.it

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