Nel Tigray è guerriglia: aumentano fame e sfollati

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A sette mesi dagli scontri più accesi nella regione del Tigray, in Etiopia, almeno il 90 per cento della popolazione si trova nel bisogno. Non si può parlare di pace: continua la guerriglia e le scuole sono trasformate in campi di rifugiati, come spiega padre Filippo Ivardi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Un totale di 5,2 milioni di persone, equivalenti al 91 per cento della popolazione del Tigray, necessita di assistenza alimentare dovuta al conflitto”, ha detto ai giornalisti riuniti a Ginevra Tomson Phiri, portavoce del Programma alimentale mondiale (Pam).

Si sono spenti alcuni riflettori mediatici sulla crisi nella regione etiope, mentre la situazione non è affatto migliorata, spiega padre Filippo Ivardi, direttore di Nigrizia:

Ascolta l’intervista con padre Filippo Ivardi

Padre Inardi, missionario comboniano, conferma le notizie che giungono dalle agenzie internazionali, sottolineando che molte ong operano nell’area e che sono arrivati aiuti dell’Onu ma aggiungendo  che le Nazioni Unite hanno chiesto 203 milioni di dollari subito per intensificare gli interventi. Lo scontro civile nel Tigray, regione a nord dell’Etiopia, è scoppiato quasi sette mesi fa, – ricorda padre Inardi – quando il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ha sferrato un’offensiva militare contro le forze leali all’ormai ex partito di governo locale Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) dopo mesi di tensioni con Addis Abeba. 

Padre Filippo riferisce di migliaia di morti, di ottantamila rifugiati, di cui alcuni sono giunti in Sudan. Il missionario direttore di Nigrizia spiega che in questi sette mesi si sono aggiunte 700.000 persone al computo dei bisognosi fatto dall’Onu. E racconta che le scuole della regione sono state trasformate in campi per sfollati. La popolazione riferisce di continui attacchi soprattutto nella notte. Si tratta – spiega padre Filippo – di una guerriglia sferrata da gruppi locali contro soldati dell’esercito nazionale. Si moltiplicano episodi di violenza – spiega – come furti di armi ai soldati ma anche ruberie di cibo alla popolazione. Sul terreno sono presenti 32 ong e si contano 1850 operatori umanitari ma – ribadisce – la situazione resta difficile e preoccupante.

Una situazione di tensione oltre i confini

Padre Filippo ricorda che c’è un contesto regionale pieno di incognite e di sfide. Riferisce della presenza in Etiopia di soldati di altri Stati limitrofi e di contenziosi aperti come quello delle dighe in costruzione sul Nilo o sui suoi affluenti – sottolinea – che coinvolge Etiopia, Sudan, Egitto.  

Alla radice dello scontro nel Tigray

Ci sono elementi storici che ci aiutano a capire come sia nato il conflitto nel Tigray, spiega l’africanista Anna Bono:

Ascolta l’intervista con Anna Bono

La professoressa Bono torna indietro nell’analisi agli equilibri di potere tra leadership regionale e quella nazionale che negli anni scorsi hanno determinato un braccio di ferro e poi un vero e proprio confronto sul terreno. Cita questioni di tipo etnico che stanno sullo sfondo di antiche tensioni o nuove contese e spiega che non ci si può fermare alla motivazione di rivendicata autonomia regionale, in quanto la componente tigrina è stata forte sul piano nazionale per circa 25 anni ed è stata poi ridimensionata con l’arrivo al potere dell’attuale primo ministro. Le sue rivendicazioni dunque vanno al di là del potere che potrebbe conservare sul territorio regionale del Tigray. 

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