Jimmy Carter, morto il 29 dicembre sazio di giorni all’età di cent’anni, non passerà alla storia come il miglior presidente nella storia degli Stati Uniti, ma si può dire che sarà ricordato come il miglior ex presidente di sempre. Carter arrivò alla Casa Bianca da outsider. Coltivatore di noccioline, ex governatore democratico della Georgia, predicatore in chiesa, con un sorriso aperto, egli sembrò il candidato più adatto e rassicurante per far dimenticare gli anni torbidi della presidenza Nixon. Carter fu presidente degli Stati Uniti dal 1977 al 1981, quando fu spazzato via dal ciclone Ronald Reagan. Il bilancio della sua presidenza non fu del tutto lusinghiero. L’inflazione, la crisi energetica, l’invasione sovietica dell’Afghanistan la crisi degli ostaggi americani in Iran furono fatali per l’onesto presidente venuto dal Sud. Tuttavia fu durante la sua presidenza che Israele ed Egitto siglarono gli accordi di Camp David, che condussero al trattato di pace israelo-egiziano del 1979 e al ritiro delle truppe israeliane dal Sinai
Dopo quattro anni di presidenza Carter, gli americani depressi furono sedotti dal messaggio ottimista di Reagan. Eppure, lasciata la Casa Bianca, Jimmy Carter è rimasto sulla breccia per oltre quarant’anni impegnandosi a favore della pace, dei diritti umani, nella difesa dei più poveri. Non a caso nel 2002 Carter fu premiato con il Nobel per la pace, come riconoscimento, si legge nella motivazione, “per i suoi decenni di sforzi instancabili per trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali, per far progredire la democrazia e i diritti umani e per promuovere lo sviluppo economico e sociale”.
Già molto anziano, ma sempre attivo, Jimmy Carter è stato ambasciatore freelance in varie missioni internazionali, osservatore sul campo di elezioni a rischio brogli, consigliere di presidenti. Negli ultimi anni lo si era visto anche in tenuta da carpentiere, con il caschetto e la tuta, accanto all’amata moglie Rosalyn, impegnato nell’organizzazione senza scopo di lucro Habitat for Humanity International, in prima linea per costruire alloggi per le famiglie più povere.
Carter era sempre stato un uomo molto religioso, assiduo frequentatore della Chiesa Battista, abituato a leggere la Bibbia ogni sera, spesso in spagnolo, insieme alla moglie Rosalynn. Durante la sua presidenza, nell’ottobre del 1979, ci fu la prima visita di un papa alla Casa Bianca: Giovanni Paolo II. Non sorprese, perciò, da parte di un uomo di fede così profonda, la serena accettazione della sua malattia e la volontà di parlarne apertamente al contrario di molti leader politici che spesso hanno mantenuto il riserbo o mentito sulle proprie condizioni di salute.
Nell’agosto del 2015, alla soglia dei 91 anni, Carter trovò il coraggio e la serenità di indire una conferenza stampa per parlare apertamente del suo cancro. Lo fece ad Atlanta, poche ore prima di sottoporsi a un ciclo di cure per le metastasi al cervello provocate da un melanoma. Il quadro clinico era molto serio, tuttavia Carter usò toni leggeri sfoderando generosamente il suo leggendario sorriso, per anni preso di mira in tutto il mondo da centinaia di vignettisti. Si rise, anche molto, alla conferenza stampa. Carter fece battute e fu affabile con tutti i giornalisti che gli rivolsero domande. Alla fine, quando Carter lasciò la sala con un passo svelto e disinvolto che non tradiva per nulla l’età avanzata e la malattia, i reporter lo salutarono con un applauso.
In quella occasione Carter scherzò anche su uno degli episodi più neri della sua presidenza, il fallito blitz in Iran dell’aprile del 1980 per salvare 52 ostaggi americani in mano al regime degli ayatollah. Gli elicotteri e gli aerei decollati dalla portaerei Nimitz finirono in mezzo a una tempesta di sabbia, un elicottero e un aereo di scontrarono in volo, persero la vita 8 militari americani e il blitz fallì. Con quel fiasco Carter si giocò la rielezione. Quando in quel giorno del 2015 gli fu chiesto di fare un bilancio della sua attività politica, l’ex presidente disse sorridente: “Forse avrei fatto meglio a mandare qualche elicottero in più per salvare gli ostaggi, così magari sarei stato rieletto”.
Ma la frase memorabile della conferenza stampa arrivò in risposta alla domanda di una giornalista che chiese a Carter quale fosse la cosa della sua vita che lo rendeva più fiero. La risposta fu immediata: “Aver sposato Rosalyn. E’ il pinnacolo della mia vita”. Jimmy e Rosalyn si sposarono il 7 luglio del 1946 nella chiesa metodista di Plains, il villaggio della Georgia dove sono entrambi cresciuti. Lui indossava la divisa bianca da cadetto della Marina. Si erano conosciuti ancora bambini, lei tre anni più giovane di lui. Il loro è stato il matrimonio più longevo nella storia dei presidenti americani. Come ha detto Jason, un loro nipote, la casa di Jimmy e Rosalyn “è stata come sempre piena d’amore”. Fino all’ultimo giorno. Che è arrivato il 19 novembre 2023 con la morte di Rosalynn. Colpita da una forma di demenza, Rosalynn ha trascorso l’ultimo tempo della sua vita insieme a Jimmy, a casa, ricevendo soltanto cure palliative in regime di terapia domiciliare. Quando si sparse la notizia di questa scelta, la loro fine sembrava imminente. Invece non è stato così e al funerale di Rosalynn c’era anche Jimmy, bloccato su una sedia a rotelle, in giacca e cravatta, la bocca aperta, a esibire la sua estrema fragilità, ma anche il suo amore per la compagna di una vita lunghissima. Quella fu la sua ultima apparizione pubblica, ma non la definitiva uscita di scena dalla vita pubblica di un democratico e un cittadino. Lo scorso novembre fu annunciato che Jimmy Carter aveva espresso il suo voto a distanza per Kamala Harris nelle elezioni presidenziali vinte da Donald Trump.
L’America saluterà Jimmy Carter con una cerimonia pubblica ai primi di gennaio, prima del ritorno di Trump alla Casa Bianca.