Mozambico: 30 anni fa gli accordi di pace a Roma

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Furono siglati a Trastevere il 4 ottobre 1992 e posero fine a 17 anni di guerra civile grazie alla mediazione della Chiesa e della Comunità di Sant’Egidio. Una sfida vinta per il Paese africano oggi colpito dalle violenze jihadiste, che hanno portato il mese scorso alla morte della missionaria comboniana suor Maria De Coppi. Il ricordo di don Angelo Romano: l’accordo riuscì perchè ognuno si pose all’ascolto dell’altro

Michele Raviart – Città del Vaticano

Fu una Messa celebrata dal cardinale Roger Etchegaray nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, a sancire, il quattro ottobre di trenta anni fa, la sigla a Roma degli accordi pace che posero fine alla guerra civile in Mozambico. Diciassette anni di conflitto tra l’esercito del governo di Joaquim Chissano del Fronte di Liberazione del Mozambico  (FRELIMO) e i guerriglieri anti-comunisti della Resistenza nazionale del Mozambico (RENAMO) guidata da Afonso Dhiakama.

La mediazione della Comunità di Sant’Egidio

Decisiva per la mediazione dell’accordo fu il lavoro della Comunità di Sant’Egidio, con il fondatore Andrea Riccardi e l’attuale cardinale Matteo Maria Zuppi, ora presidente della Cei, il vescovo di Beira Jaime Pedro Gonçalves e il sottosegretario agli Affari esteri italiano Mario Raffaeli che furono tra i più importanti negoziatori. Don Angelo Romano, ora rettore della Basilica di San Bartolomeo all’Isola tiberina era tra i presenti in quei momenti.

Ascolta l’intervista a don Angelo Romano

“Fu una grandissima gioia perché si poneva fine a un incubo durato quasi diciassette anni, che era costato la vita a quasi un milione di mozambicani e aveva completamente distrutto il Paese. Il Mozambico era annientato economicamente. Non si poteva più viaggiare dal nord al sud, tutti i ponti sui fiumi principali erano stati fatti saltare in aria. Molte famiglie erano divise e non avevano notizie gli uni degli altri, in alcuni casi anche da 10-12 anni… C’erano i bambini soldati coinvolti nel conflitto, atrocità di ogni genere… Tutto questo ebbe fine il 4 ottobre 1992. Va ricordato veramente perché quella pace non è stata seguita da strascichi di vendette personali o di contraccolpi, ma segnò una discontinuità enorme. Effettivamente il Paese entrò in pace quel giorno. Si chiuse una pagina dolorosissima e se ne aprì un’altra, certo complicata, – perché la pace è sempre complicata e ha i suoi problemi e le sue contraddizioni- ma era qualcosa di completamente diverso da ciò che il Paese aveva vissuto nei diciassette anni precedenti”.

Come fu possibile arrivare al compromesso? Quale fu il ruolo della Comunità di Sant’Egidio?

“Il ruolo di Sant’Egidio è stato molto complicato. La Comunità aveva già iniziato a costruire una sua rete di relazioni in Mozambico con il governo e soprattutto con la Chiesa locale già a partire dai primi anni 80. Questa rete di amicizia aveva anche aiutato a migliorare i rapporti tra il governo mozambicano e la Chiesa, che erano iniziati maniera negativa subito dopo l’indipendenza. Il governo guardava alla Chiesa cattolica ancora come fosse quasi un’eredità del colonialismo, nonostante fosse già composta quasi completamente da sacerdoti e vescovi mozambicani e non più portoghesi. Sant’Egidio aveva aiutato a migliorare i rapporti, ma poi di fronte alla catastrofe della guerra, Andrea Riccardi e Matteo Zuppi hanno cercato in tutti i modi di trovare le strade per fermare quel conflitto. Vista la disponibilità del governo mozambicano e alcuni tentativi che c’erano stati da parte di alcuni religiosi locali, alla fine fu possibile stabilire un contatto e si arrivò al primo incontro tra il governo mozambicano e la guerriglia RENAMO a Sant’Egidio nel luglio del 1990. Fu il primo incontro. 27 mesi di negoziato hanno prodotto un accordo che oggi è parte della Costituzione mozambicana. Il segreto è stato quello di aiutare i mozambicani a trovare la loro soluzione, non una soluzione imposta dall’alto, ma qualcosa che potesse assicurare e garantire ad ambo le parti che sicuramente qualche conflitto poteva finire”.

Possiamo ricordare che cosa prevedeva quell’accordo?

“L’accordo prevedeva tutta una serie di condizioni che sono state essenziali per il suo successo. Innanzitutto la smobilitazione e l’integrazione delle Forze Armate in un unico esercito nazionale prima delle elezioni. Questo è stato un elemento essenziale, perché c’era stata l’esperienza angolana che era stata purtroppo molto negativa. Dopo il trattato di pace le due parti in lotta erano andate alle elezioni, ognuna conservando la sua forza armata e quando le elezioni si tennero, una delle due parti non riconobbe il risultato e la guerra riprese. Prima delle elezioni, quindi, i guerriglieri della RENAMO entrarono nell’esercito mozambicano ed è interessante che si fece una certa fatica  – e non ci si riuscì – a raggiungere le quote previste, perché la maggior parte dei combattenti voleva tornare a casa e non continuare a fare il militare. Era un accordo tutto sotto il segno della accettazione dell’altro, della democrazia quindi, e della trasformazione in partito politico del movimento armato di opposizione. Nella fase tra la firma l’accordo e la tenuta delle prime elezioni democratiche era previsto ci fosse una forza militare dell’Onu per garantire la sicurezza e questo, coinvolgendo tra l’altro militari italiani, fu una delle missioni di pace Onu di maggior successo”.

A 30 anni da questi accordi il Paese è colpito da quello che avviene a Cabo Delgado con le milizie jihadiste… Regge l’accordo?

“L’accordo regge e certamente Il Paese si trova a confrontarsi con problemi nuovi e radicalmente diversi. Oggi si confronta con quello è il jihadismo internazionale, che ha colpito la parte nord del Mozambico utilizzando alcune contraddizioni e debolezze del sistema-Paese. Si tratta di una zona molto dimenticata, economicamente molto depressa, quindi utilizzando anche alcune delle fragilità sociali del posto è stata possibile l’infiltrazione di elementi jihadisti. Oggi però quello che c’è da notare è che questa stessa zona colpita dal terrorismo jihadista vive anche delle pagine molto belle di solidarietà. Ci sono 900 mila sfollati interni, ma solo una piccola minoranza di questi è ospitata in campi profughi attrezzati, la stragrande maggioranza è ospite di famiglie, di parenti, di vicini, di persone che li hanno accolti. Quindi sostanzialmente sono stati accolti dalla solidarietà della popolazione mozambicana, che con questo ribadisce la sua volontà di pace. Anche il tentativo dei jihadisti di reclutare grandi masse tra i giovani al momento non è riuscito perché il numero di combattenti è abbastanza stabile. Purtroppo è molto facile per i terroristi colpire obiettivi civili in qualsiasi momento spostandosi in un’area molto vasta di foreste in cui è molto facile nascondersi. Purtroppo il Mozambico, come molti altri Paesi africani, deve affrontare questa sfida, ma certamente è una sfida che non ha un’unica soluzione con strumenti militari, ma è una sfida complessa che coinvolge anche l’aspetto dello sviluppo dell’educazione e della promozione di una regione che forse era rimasta un po’dimenticata”.



Da vaticannews.va

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