La foto del dottor Claudio Cevarolo all’Ospedale generale di Goma.
Nell’ufficio del direttore dell’Ospedale generale di riferimento di Goma, la foto di un giovanissimo dottor Claudio Ceravolo campeggia in un riquadro, come primo di un serie di fotografie che ritraggono i successivi direttori che si sono avvicendati in questa struttura sanitaria del capoluogo del Nord Kivu. Ceravolo, medico – oggi in pensione – e presidente della Ong italiana Coopi – presente nella Repubblica democratica del Congo dal 1977 – è stato il primo a dirigere, dal 1986 al 1989, l’Ospedale di Goma, fondato grazie agli aiuti dell Cooperazione italiana (oggi Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo). Il medico cremasco è stato non solo il primo ma anche l’unico italiano, e straniero, fra i direttori, che dopo di lui, fino a oggi, sono stati tutti congolesi.
Il rapporto del medico con l’Africa – e in particolare con la RDC, Pese del quale è profondo conoscitore e osservatore – è legato indissolubilmente a Coopi. Nel 1981 Ceravolo partì per il continente africano come volontaro della Ong milanese, fondata nel 1965 da padre Vincenzo Barbieri, conosciuto come il “megafono dell carità”. Da allora, l’Africa è rimasta impressa in modo indelebile nella sua vita e nel suo impegno medico e umanitario. Ceravolo ha continuato a seguire il lavoro di Coopi come volontario, ha assunto la carica di presidente della Ong dopo la morte di padre Barbieri che l’ha presieduta fino ai suoi ultimi giorni e del quale nel 2014 il medico ha scritto, insieme a Luciano Scalettari, la biografia Ho solo seguito il vento. Vita di Vincenzo Barbieri, padre del volontariato internazionale. (Emi).
Nell’Ospedale di Goma l’attuale direttore, il dottor Sébastien Matata, guarda la foto di Ceravolo, sorride e osserva: «Io non ho mai avuto il piacere di conoscerlo, allora ero troppo giovane. Ma conosco bene la sua fama qui, ciò che ha realizzato, l’impronta che ha lasciato impressa. Se un giorno tornasse a Goma mi piacerebbe tanto incontrarlo di persona, noi lo aspettiamo sempre». Medico pediatra, il dottor Matata è il quattordicesimo direttore della struttura sanitaria, che lui definisce «l’ospedale degli italiani». Ricorda l’impegno e l’aiuto fondamentali della Cooperazione italiana qui. In qualche modo questo ospedale continua ad essere legato all’Italia.
Il direttore ripercorre i cambiamenti storici avvenuti nel Paese, anche da un punto di vista igienico-sanitario, negli ultimi quattro decenni, da quando l’ospedale è stato fondato. Mostra i vari reparti, dalla pediatria alla neonatologia fino al pronto soccorso, che è stato totalmente rinnovato. «Questa struttura sanitaria non è più solo punto di riferimento di Goma ma è diventata anche Ospedale provinciale del Nord Kivu», spiega, «ed è in fase di amplimento e sviluppo: alcuni nostri medici stanno seguendo una formazione all’estero in varie specialità, dalla cardiologia all’oculistica, ma abbiamo bisogno di sostegno per rispondere alle enormi esigenze sanitarie della popolazione e mi rivolgo il mio appello anche all’Italia».
Il dottor Sébastien Matata, direttore dell’ospedale, con il suo vice, il dottor Kanane Kasus.
In Repubblica democratica del Congo il sistema sanitario è ancora estremamente fragile: i costi dei servizi sanitari sono a carico dei pazienti – tranne la maternità, che è gratuita – e buona parte dell popolazione non è in grado di pagare le cure, restando senza accesso all’assistenza medica di base. Dal punto di vista dell’organizzazione sanitaria, le prime cure sono fornite nei centri di salute dislocati sul territorio di ogni provincia (suddivisa nelle cosiddette “zone di salute”), dove non ci sono medici ma solo infermieri, i casi più problematici che richiedono un intervento medico vengono indirizzati agli ospedali, spesso molto lontani e difficilmente rsggiugibili da chi vive nei villaggi, nelle piccole comunit, o negli insedimenti per sfollati.
Il dottor Matata riflette sulla situazione della salute nel suo Paese: «Oggi dobbiamo affrontare nuove sfide sanitarie, come la cura dei tumori, dell’ictus, di malattie croniche come il diabete, legate soprattutto ai cambiamenti degli stili di vita». Il medico pensa alla provincia del Nord Kivu, territorio particolrmente difficile, lacerato da conflitti e insicurezza, segnato da diverse epidemie: solo negli ultimi anni il colera, l’ebola, il morbillo e, oggi, il pericolo che arriva dal monkey pox, il vaiolo delle scimmie. «Di quest’ultima malattia ora abbiamo una ventina di casi, dei quali alcuni fra gli sfollati». La situazione degli sfollati a causa del conflitto armato nel Nord Kivu, afferma Matata, «è catastrofica, dal punto di vista umanitario e sanitario. Gli sfollati vivono in condizioni terribili, assolutmente precarie. E la precarietà porta con sé le malattie, che necessitano di cure, dalle patologie respiratorie a quelle diarroiche. Il primo passo per la cura sono i centri di salute. Per poi arrivare aggli ospedali. Ma spesso quando arrivano all’ospedale di riferimento i pazienti si trovano a uno stadio già molto avanzato della malattia. E comunque, essendo sfollati, non hanno i soldi per pagare il ricovero e le cure. E se non c’è nessuno che tenda loro una mano per aiutarli, chi può prenderli in carico se non possono pagare? E’ tutto molto complicato».
Per migliorare la situazione sanitaria, aggiunge il medico, bisognerebbe rafforzare il sistema decentrato delle cliniche mobili presenti negli insediamenti degli sfollati, per individuare e isolare sul terreno i casi di patologie, inviare quelli non problematici ai centri di salute e organizzare i trasferimenti di quelli più gravi all’Ospedale generale di Goma. Questo, per Matata, aiuterebbe ad abbassare il tasso di mortalità fra gli sfollati. «Ma, ripeto, per fre tutto questo abbiamo bisogno di aiuto, per poter sostenere le cure delle migliaia di persone sfollate a Goma, che versano in una condizione indescrivibile».