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«L’idolo moderno è l’io»: il rabbinato senza mura di Haim Cipriani

di Sergio Casali

Poliglotta, cosmopolita, maestro di violino, entusiasta di carattere e asuo agio con i social media. Haim Cipriani, genovese, è un rabbino che affonda le radici del suo insegnamento nella tradizione italiana e chassidica. Profondamente imbevuto di cultura biblica, ha scelto di praticare un ebraismo “senza mura” stando sulle frontiere più complesse della contemporaneità. Con Famiglia Cristiana accetta di parlare della sua Comunità, delle questioni più sensibili della bioetica, del ruolo della fede nel mondo della post globalizzazione. Lo facciamo nella libreria San Paolo del capoluogo ligure in coda alla presentazione del suo libro “Rabbino, posso farle una domanda?” (Claudiana, 144 pagine, 14,50 euro), un’antologia delle domande che ha ricevuto in dieci anni di rabbinato «dalle persone più varie e nei posti più impensabili: al bar, durante le conferenze, camminando per strada». La sua comunità Etz Haim, ha aderito al movimento Conservative – a metà strada tra l’ortodossia e la riforma ebraica – che cerca di restare fedele alla Torah e all’insieme delle norme giuridiche della dottrina tradizionale giudaica raccolte nell’halakah senza rinunciare alla responsabilità di rispondere alle domande della storia e della cultura contemporanee. Perché, come spiega sorridendo Raffaella Petraroli Luzzati, la presidente della comunità ebraica di Genova che ha introdotto la presentazione: «dove ci sono due ebrei, ci sono tre opinioni».

Rav Cipriani, la sua è una Comunità che si autodefinisce “senza mura”

Ho iniziato una quindicina di anni fa, tenendo dei corsi on-line quando ancora nessuno li faceva. Poi col passare del tempo, per rispondere alle richieste che mi arrivavano, ho formato questo gruppo che andava oltre l’impegno dello studio e voleva fare comunità. In breve tempo abbiamo raccolto persone di tutta Italia con incontri in presenza, senza interrompere anche i collegamenti da remoto. Siamo un centinaio di membri e ci incontriamo una volta alla settimana. L’apertura non è solo nelle modalità di incontro, ma soprattutto nell’assenza di barriere nei confronti delle presenze non ebraiche che sono numerose, circa la metà dei membri. Ci sono anche ministri di culto: abbiamo avuto sacerdoti, suore, pastori protestanti.

Un impegno che serve anche ad attrarre i più giovani

Soprattutto facciamo un grosso lavoro per tentare di recuperare i figli di famiglie ebraiche che si stanno allontanando dalla fede della loro famiglia o per accogliere tante persone di origine ebraica, magari di diverse generazioni fa, che vogliono ritornare a impossessarsi delle loro radici e che talvolta hanno difficoltà a farlo in altri ambiti.

Non c’è il rischio così di annacquare l’identità dell’ebraismo?

Intanto bisogna riconoscere che in una società contemporanea i muri semplicemente non funzionano più: tutto passa attraverso un grado ragionevole di ibridazione. Cercare la purezza a tutti i costi è irrealistico, sarebbe come crescere un figlio tenendolo sotto una campana di vetro. Piuttosto, noi uomini di fede dobbiamo imparare ad uscire, prenderci i rischi del caso, prepararci con un’identità forte, la conoscenza, la coscienza e fare in modo che questo porti all’incontro con l’altro. Senza aver timore che delle cose ci cambino, perché la vita è anche cambiare, ma senza perdere il controllo dei cambiamenti. C’è un pericolo di diluizione? Sì, ci sono mille pericoli, ma la vita è una roba pericolosa: muore un sacco di gente.

Nel libro parla di temi delicati e attualissimi. Qual è la sua posizione sulla maternità surrogata?

La tradizione biblica porta generalmente a sconsigliarla. Noi sosteniamo molto il desiderio di maternità e paternità, e appoggiamo le possibilità che la scienza crea per aiutare le coppie, ma l’ebraismo dà priorità adozione. La maternità surrogata ha un problema etico molto serio legato allo sfruttamento del corpo femminile e delle disparità economiche, ma anche alla possibilità di gravi squilibri affettivi per la gestante.

E sul fine vita?

L’ebraismo si è sempre posto il problema di salvaguardare l’esistenza umana e la sua qualità: non è mai una vita a tutti i costi. Proibisce l’interruzione volontaria della vita, ma anche nel Talmud leggiamo di situazioni in cui si sceglie di fermare i mezzi che prolungano la vita in modo artificiale, per non sollecitare eccessivamente il moribondo. Certamente vi è per noi un divieto verso l’accanimento terapeutico, ma non una simpatia per l’eutanasia attiva, consapevoli di quanto spesso le sfumature siano molto sottili. Resta la posizione di fondo per cui la sofferenza in sé non è mai vista come un merito: fa parte dell’esistenza umana, ma va alleviata e abbreviata il più possibile

Nella vostra Comunità vi fate un vanto di dare uno spazio importante alle donne

Dare uno spazio maggiore alle donne nelle religioni è possibile ed è necessario. E questo oggi esiste anche in una certa ortodossia – anche se minoritaria – che in alcune situazioni ha reso possibile il rabbinato femminile. La pari dignità dei generi, l’eguaglianza nel culto sono ormai realtà nell’ebraismo. È qualcosa che si sta facendo spazio nella coscienza contemporanea, quindi semplicemente non ci si può privare della presenza di un certo tipo di presenza femminile, relegando le donne a certi ruoli secondari. E un discorso analogo vale per le persone LGBT.

In che senso?

La presenza delle persone di orientamento omosessuale non è una novità, ma il mondo la accoglie in maniera nuova perché non si possono più rifiutare. Il primo passo è quello di non ignorarle, perché l’indifferenza è sempre la cosa peggiore che si possa rivolgere agli esseri umani. Ma non si possono neanche rifiutare, anche per un motivo teologico: sono persone e se una divinità ha creato degli esseri umani con una affettività diversa deve esserci uno scopo e noi dobbiamo aiutare loro a scoprire questo scopo.

Tuttavia è innegabile che le posizioni dell’ebraismo antico fossero molto più severe su questo punto.

Alla base della proibizione antica dell’omosessualità, c’era il fatto che era spesso basata sul potere ed era anche una forma di idolatria, cioè sulla forma di sottomissione di alcuni da parte di altri. Questo in effetti non è accettabile. Ma quando diventa una modalità di essere che si inscrive in una normalità affettiva, deve essere accolta senza nessun problema. Al contrario, dobbiamo lottare con chi questi problemi li crea, generando spesso enormi sofferenze.

Un altro tratto del mondo contemporaneo è l’individualismo esasperato. Le religioni hanno ancora qualcosa da dire per contrastarlo?

Uno degli atteggiamenti anti idolatri dell’ebraismo si rivolge contro la dittatura dell’individuo. Non esiste nella Bibbia il mito dell’uomo forte, ma l’affermazione che solo in un gruppo ci si può salvare, tanto che persino ad Abramo viene chiesto di trovare dieci uomini giusti. Le società non cambiano grazie ad individui, ma quando le persone imparano a mettere insieme, a formare un gruppo, ad essere comunità. Questo è qualcosa su cui le tradizioni di fede hanno ancora parecchio da dire.

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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