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L’eredità di Szeptyckyj nell’Ucraina di oggi



L’intervista dei media vaticani a don Augustyn Babiak, sacerdote greco-cattolico, autore del libro “Per amore del suo popolo. La vita eroica del metropolita Andrea Szeptyckyj”. Arcivescovo metropolita di Lviv e metropolita di Halyc, è stato dal 1900 al 1944, anno della morte, guida della Chiesa greco-cattolica ucraina, in un periodo travagliato per l’Europa e tragico per il suo popolo

Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano

Il 1° novembre ricorre l’80° anniversario della morte del Venerabile Servo di Dio Andrea Szeptyckyj (nella traslitterazione in ucraino moderno: Andrey Sheptytsky) che ha guidato la Chiesa greco-cattolica ucraina dal 1900 fino alla sua morte nel 1944. In quel periodo, travagliato per tutta l’Europa e tragico per il popolo ucraino, «la Provvidenza divina ha dato alla Chiesa greco-cattolica ucraina un grande pastore», – spiega ai media vaticani don Augustyn Babiak, sacerdote greco-cattolico e autore del libro “Per amore del suo popolo. La vita eroica del metropolita Andrea Szeptyckyj”. Nel lasso di tempo in cui il metropolita è stato alla guida della Chiesa greco-cattolica, gli ucraini hanno vissuto due guerre mondiali e sette cambi di governo. Le drammatiche vicende che travagliano l’Ucraina di oggi spingono ad avvicinarsi all’eredità spirituale di questa figura, che lo storico Jaroslav Pelikan ha definito «la più rilevante […] nell’intera storia della Chiesa ucraina del XX secolo». L’azione pastorale e sociale del metropolita Szeptyckyj torna ad essere d’ispirazione per la Chiesa in Ucraina, che ne segue l’esempio stando accanto al proprio popolo nella preghiera e nell’accoglienza, aiutando a coltivare la speranza e, in mezzo a tante sofferenze, promuovendo valori umani e cristiani.

Il giovane vescovo

Roman – questo il nome di battesimo del metropolita Szeptyckyj – nacque il 26 luglio 1865 a Prylbyci, nell’ovest dell’Ucraina. Nel 1888 entrò nell’Ordine Basiliano e nel 1892 venne ordinato sacerdote. A età di soli 34 anni, fu nominato vescovo di Stanislaviv (oggi Ivano-Frankivsk) e dopo un solo anno venne trasferito alla sede metropolitana di Leopoli, da cui dipendevano tutte le diocesi della Chiesa greco-cattolica ucraina. «Fin da subito affrontò con molta serietà i doveri che derivavano dal suo impegno pastorale, – racconta don Augustyn Babiak – rivolgendosi ai fedeli con una lettera in cui dichiarava apertamente i suoi timori per la nuova nomina e per le responsabilità che comportava, ma che l’aveva accettato confidando nell’aiuto di Dio. Il giovane vescovo si definiva “un pastore umile innamorato del proprio popolo”, un popolo che allora sembrava un po’ abbandonato, trascurato, a causa dalle circostanze politiche, economiche e sociali. Come vescovo desiderava, soprattutto, trasmettere lo spirito cristiano, la fede, un’attiva speranza cristiana. Voleva incoraggiare questo popolo e aiutarlo a riprendersi, a credere di nuovo in sé stesso e nelle proprie forze vitali».

L’impegno ad educare e formare

Essendo una persona colta, il capo della Chiesa greco-cattolica sapeva che per realizzare il suo progetto, doveva iniziare dall’educazione. «Mandava i seminaristi, futuri sacerdoti, a studiare all’estero: a Lovanio in Belgio, a Innsbruck in Austria e a Roma. – racconta don Avgustyn – Inoltre, cercava di dare nuovo slancio anche alla vita monastica fondando la Congregazione monastica orientale chiamata “Studion”, e facendo arrivare dal Belgio i Redentoristi, che hanno adottato il rito orientale. Szeptyckyj si impegnava anche per far studiare i laici contribuendo, in questo modo, a formare un’élite capace di servire il popolo ucraino facendolo uscire dalla povertà, così che potesse riacquistare fiducia e riscoprire la propria identità e appartenenza europea. Il suo scopo principale era insegnare, formare, stare a fianco del popolo, per sentire i loro bisogni, prima di tutto spirituali, ma anche quelli materiali. Perché lui vedeva la persona nella sua totalità: integra, completa, la persona che è amata da Dio e che può imparare ad amare Dio e il suo prossimo».

Uomo del suo tempo

Szeptyckyj era un uomo del suo tempo e prese attivamente parte alla vita pubblica della Galizia (la pronuncia ucraina “Halychyna”, nell’ovest dell’Ucraina). Però non era un politico, non apparteneva ad alcun partito ed esortava il suo clero a non impegnarsi in politica. Sebbene come metropolita fosse membro del Parlamento di Vienna e del Sejm della Galizia, si presentò in entrambe le istituzioni solo due volte prima del 1911, ed entrambe le volte parlò più dei temi legati all’educazione che non di politica. «Prima di tutto, lui era un buon pastore che cercava sempre un buon equilibrio tra la dimensione spirituale e quella sociale.» – spiega don Babiak, aggiungendo che lo scopo principale della sua azione sociale è stata quella di aiutare il proprio popolo ad «uscire dalla miseria e a condurre una vita buona e sana», perciò voleva che la gente imparasse a tenere i piedi sulla terra, ma il cuore in alto. «Ha sempre cercato di aiutare questo popolo a raggiungere il benessere, – continua lo studioso – ma per questo ci volevano i mezzi, ci voleva istruzione. Lui si batteva perché gli ucraini avessero il diritto di mandare i propri figli nelle scuole e nelle università ucraine dove avrebbero potuto imparare la propria lingua, la propria storia, la propria identità. Quindi, appoggiava sì le aspirazioni sociali, economiche del suo popolo, ma non trascurava mai gli aspetti spirituali (catechesi, insegnamento, la formazione del clero, la vita monastica, gli ordini religiosi), perché li considerava i migliori alleati per aiutare il popolo a vivere bene. Per il metropolita l’istruzione era anche la chiave per non diventare una preda facile delle varie correnti dell’epoca che cercavano di attrare la gioventù (il marxismo, il leninismo). Cercava di sensibilizzare la gente, soprattutto, i giovani, a studiare e a imparare per distinguere tra ciò che è buono e ciò che è falso».

La voce di coloro che morivano di fame

Il metropolita Szeptyckyj si prendeva cura non solo dei fedeli della sua Chiesa, ma svolgeva anche un ruolo importante come voce di tutti gli ucraini, anche di quelli che si trovavano nei territori occupati dal governo sovietico. «Il momento per lui più doloroso è stato l’Holodomor del 1932-33, – racconta don Babiak, – quando circa 8 milioni di ucraini morirono letteralmente di fame. Un vero e proprio genocidio di cui l’Europa non era a conoscenza, perché la Russia sovietica bloccava tutte le informazioni e sosteneva che tutto andasse bene. Con il supporto della Santa Sede e delle varie organizzazioni umanitarie Szeptyckyj cercava in tutti modi di spedire dei pacchi con il cibo e organizzare convogli umanitari. Una parte di questi aiuti potrebbe essere arrivata a destinazione, ma di solito i russi bloccavano gli aiuti dicendo che il problema non esisteva. Nonostante tutto Szeptyckyj cercava di sensibilizzare tutto il mondo raccontando quello che accadeva realmente nel paese. Anche in questo si nota la sua grande sensibilità umana e una compassione proattiva».

In soccorso degli ebrei

Un altro esempio lampante dell’umanità del metropolita ucraino sono i suoi sforzi per salvare gli ebrei durante la persecuzione nella Seconda guerra mondiale. «Leopoli ha subito un vero pogrom di ebrei. – racconta don Augystyn Babiak – Chi cercava di difenderli, nasconderli, rischiava molto. Szeptyckyj non aveva paura, era coraggioso. Insieme a suo fratello Klymentij (proclamato beato nel 2001) avevano organizzato una rete di salvataggio degli ebrei, soprattutto bambini. Infatti, le famiglie ebree (rabbini, professori, insegnanti) portavano i loro figli nei vari monasteri dove in tanti hanno trovato salvezza. E’ il caso, ad esempio, di Kurt Lewin, figlio del rabbino di Leopoli, salvato dal metropolita quando aveva diciassette anni, e dell’ex ministro degli Affari Esteri della Polonia, Adam Rotfeld, e di tanti altri che hanno testimoniato il coraggio del metropolita, di suo fratello, di sacerdoti e religiosi e di tante famiglie ucraine che avevano una coscienza umana e cristiana».

Uomo di Chiesa in mezzo al buio della guerra

«Da sempre la Chiesa ha gli strumenti spirituali per sensibilizzare le persone e per salvaguardare la loro dignità. – dice don Babiak riflettendo sul ruolo dell’insegnamento di Andrea Szeptyckyj nel contesto odierno della guerra in Ucraina – Dal 1939 al 1944 il metropolita ha organizzato quattro sinodi radunando attorno a sé i sacerdoti per incoraggiarli a continuare la loro attività pastorale per il popolo sofferente. Il tema principale di questi sinodi erano sempre i dieci comandamenti, con lo scopo di sensibilizzare la popolazione a non dimenticare le leggi morali anche in tempo di guerra. Sebbene fosse già molto malato, è riuscito a trasmettere bene questo messaggio. Insisteva molto sui concetti di solidarietà, aiuto e compassione, invitando a vedere in ogni persona Cristo che soffre. Oggi siamo testimoni di ciò che succede in Ucraina: è un vero disastro. L’uomo non riconosce più l’uomo, la vita non vale quasi più niente. Qui la Chiesa può giocare veramente un ruolo molto importante usando gli strumenti della spiritualità per sensibilizzare la gente, facendosi portatrice del messaggio che malgrado questa situazione eccezionale e dolorosa, possiamo rimanere persone umane mantenendo la nostra dignità. Un giorno arriverà il momento della riconciliazione, però questo è un lungo cammino che non si può fare in fretta. È una sfida per il popolo ucraino, ci vuole tempo per far maturare in noi questo bisogno di vivere bene con sé stessi e con gli altri in una condizione di pace, solidarietà e prosperità del nostro Paese e della nostra Chiesa».
 



Dal sito Vatican News

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