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Le ultime sette parole di Cristo oggi


In occasione della pubblicazione del video del concerto “7″, composto da Marcello Filotei, vi proponiamo il testo del programma di sala scritto dalla musicologa Susanna Pasticci per l’esecuzione del brano avvenuta nel febbraio 2024 nell’Aula Magna della Sapienza, a cura del progetto “Studiare con la IUC” (Corso di laurea in Musicologia Dipartimento di Lettere e Culture moderne Sapienza Università di Roma)

di Susanna Pasticci*

Ascoltare un pezzo di musica contemporanea basato su testi sacri significa prendere le distanze dalla mondanità acustica che quotidianamente ci circonda e ci frastorna, per attivare un rapporto più consapevole e profondo con la nostra esperienza dell’essere nella dimensione della temporalità. Soprattutto se il testo sacro, come quello che risuona nel concerto in Aula Paolo VI è legato a uno dei momenti più drammatici della narrazione del Nuovo Testamento, la Passione di Gesù. 

Il titolo della composizione di Marcello Filotei – 7 – può sembrare piuttosto laconico, ma ha anche una forte valenza ecumenica: un numero scritto in cifre non ha bisogno di traduzioni, e ognuno può leggerlo nella propria lingua. Più esteso è invece il sottotitolo – Meditazione su Septem verba Christi in cruce di Joseph Haydn che oltre a chiarire il significato del numero fornisce varie informazioni sulla genesi dell’opera. Sette sono infatti le parole (o più esattamente, le brevi frasi) che Gesù pronuncia sulla croce poco prima di morire e che vengono riportate dai vangeli canonici. Nel pezzo di Filotei queste parole vengono cantate in latino dal baritono, accompagnato da un’orchestra di strumenti a percussione potenziata dall’elettronica. Un’altra informazione suggerita dal sottotitolo è che l’oggetto della “meditazione” non è solo il contenuto dei testi evangelici, ma anche un’opera musicale composta da Joseph Haydn nel 1787. Una sorta di “musica al quadrato”, dunque, che utilizza il lavoro di un altro artista come fondamento e punto di partenza per l’espressione della propria creatività.

Il titolo del pezzo di Haydn è Musica instrumentale sopra le 7 ultime parole del nostro Redentore in croce ovvero Sette Sonate con una introduzione ed alla fine un Terremoto: si tratta dunque di un’opera strumentale, in cui non ci sono cantanti che possano dar voce alle parole di Cristo. Il pezzo gli era stato commissionato da una chiesa di Cadice, per un rituale legato alle cerimonie del venerdì santo: il vescovo saliva sul pulpito e pronunciava una delle sette parole (o frasi), la commentava e poi si inginocchiava davanti all’altare. Questo intervallo di meditazione era riempito dalla musica; di conseguenza, Haydn scrisse sette sonate per ognuna delle sette parole, precedute da un brano introduttivo e da un episodio conclusivo intitolato Terremoto, ispirato al racconto evangelico della morte di Cristo.

Il lavoro di Filotei segue l’articolazione dell’opera di Haydn: sette movimenti, un’introduzione e un finale, a cui però vengono aggiunti anche due intermezzi. Al di là dell’impianto formale, dove finisce la musica di Haydn e dove comincia quella di Filotei? Ancor prima che il pezzo abbia inizio, basta volgere un rapido sguardo alla scena della performance per intuire che l’opera non è un calco stilistico, visto che gli attori in gioco sono ben diversi da quelli di un’orchestra del Settecento. I suoni prodotti dalla miriade di strumenti a percussione dispiegati sul palcoscenico sono quelli della nostra contemporaneità: densi, materici, inarmonici e complessi.

Tutte le melodie cantate dal baritono sono invece riprese alla lettera dalla partitura di Haydn; ma non si tratta solo di questo. Proviamo a immaginare il pezzo di Haydn come un vecchio film, logorato dal tempo: alcune immagini (le melodie affidate al baritono) sono rimaste ben impresse sulla pellicola, mentre tutto il resto è quasi completamente scomparso. Man mano che la pellicola scorre, affiorano brevi frammenti e figurazioni ritmiche che confluiscono anch’esse nel pezzo di Filotei: sono apparizioni fugaci, intermittenti e fulminee, ma scelte in modo molto accurato. Si tratta di figure e gesti musicali tipici del paesaggio sonoro della musica del Settecento, che spesso rinviano a un significato specifico: la figura del lamento (il semitono discendente), la circulatio (movimento rotatorio), la dubitatio (incertezza del sentimento espressa con una frase sospesa) e altre ancora. Attraverso queste figurazioni, tipiche della retorica musicale settecentesca, Filotei esplora la possibilità di progettare nuovi codici linguistici ed espressivi amplificando le valenze inesplorate della tradizione. La memoria è infatti una forza viva, attiva, e quanto più si procede nella meditazione e nell’elaborazione di un ricordo, tanto più questo si diversifica e si arricchisce di stratificazioni di senso.

Il pezzo si apre con un’Introductio, una processione cerimoniale lenta e cadenzata che virtualmente ci conduce sotto la Croce. Il testo del secondo episodio, Pater, dimitte illis quia nesciunt quid faciunt, esprime un invito alla tolleranza che viene reso musicalmente attraverso un contrasto tra sonorità più luminose o più cupe. Hodie mecum eris in Paradiso introduce invece un momento di stasi ritmica, in cui si alternano momenti di rarefazione timbrica e di estrema condensazione sonora. Il quarto episodio, Mulier ecce filius tuus, è intessuto su un’unica linea ritmico-melodica che passa da uno strumento all’altro e si trasforma timbricamente. Mentre il baritono ripete l’invito a prendersi cura di chi ne ha bisogno, la stridente risposta dei piatti esprime un’indifferenza al dolore altrui.

L’Intermezzo 1, che non figura nel pezzo di Haydn, interrompe la narrazione per offrire un’oasi di meditazione sul trascendente. Tre esecutori si raccolgono intorno allo stesso vibrafono: due suonano con l’arco, mentre il terzo esegue con le bacchette morbide una lenta melodia che rielabora alcune linee cantate dal baritono e ne anticipa altre che ascolteremo nei movimenti successivi. Deus meus, Deus meus ut quid dereliquisti me? è l’unico episodio in cui interviene l’elettronica. Mentre il baritono continua a cantare in latino, dalle casse acustiche affiorano voci di uomini e donne che recitano la stessa frase in diverse lingue: alcune sono concitate, mentre altre manifestano un atteggiamento passivo, di fiduciosa attesa. Su questo tappeto vocale, tre percussionisti improvvisano su alcune idee ricorrenti, soffocando le richieste d’aiuto delle voci o lasciandole emergere in primo piano.

Il movimento successivo, Sitio, è la sublimazione di un’emergenza del corpo che ci invita a riflettere sull’importanza dell’acqua: un crotalo viene ripetutamente colpito e poi immerso in un recipiente con l’acqua per smorzarne il suono, oppure viene direttamente percosso nell’acqua. Consummatum est riporta invece in primo piano la riflessione spirituale sui destini dell’Uomo: la frammentazione melodica è particolarmente accentuata, mentre nuove idee musicali e ricordi si alternano in rapida successione.

Intermezzo 2 è un altro episodio aggiunto al canovaccio di Haydn: tre percussionisti eseguono uno stesso pattern ritmico, ma con velocità e strumenti diversi, creando un tessuto di grande complessità timbrica. Di diverso carattere l’episodio successivo, In manus tuas Domine commendo spiritum meum, contraddistinto da un’atmosfera di stasi ritmica e rarefazione del suono che evoca spazi indefiniti e lontani. Il movimento conclusivo, Terrae motus, è un terremoto tutto interiore, che non ha nulla di concitato e materico. Il tema con cui Haydn descrive gli scossoni della terra è affidato alla marimba, mentre tutto il resto sembra rimanere fermo: alcuni strumenti dialogano tra loro ma senza esprimere drammi, tensioni, paure. Dopo una ripresa del tema della marimba tutto sembra rallentare, finché un improvviso un colpo in fortissimo scandisce la fine del pezzo.

*Professoressa di musicologia presso l’Università “La Sapienza” di Roma.



Dal sito Vatican News

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