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L’appello incessante dei Papi: pace per i popoli di Palestina e Israele


Proseguono, finora fra stenti e fallimenti, gli sforzi di pace per la Terra Santa. Oggi sono previsti nuovi colloqui al Cairo per arrivare ad una tregua a Gaza. Riproponiamo alcune riflessioni dei Pontefici sul Medio Oriente, un coro di voci orientate da una grande speranza: vedere riconosciuto il diritto di queste popolazioni, entrambe nel cuore dei Papi, a vivere in pace e in sicurezza, ciascuna in un proprio Stato

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Lo scenario mediorientale è sempre più intricato: in Libano la tregua si dimostra fragile. In Siria i ribelli jihadisti assediano Aleppo. Si intravedono, invece, spiragli per la Terra Santa. Oggi è previsto, al Cairo, l’arrivo di una delegazione di Hamas per colloqui con i funzionari egiziani. Lo rende noto Basem Naim, alto funzionario del gruppo palestinese. La visita arriva pochi giorni dopo la dichiarazione degli Stati Uniti sull’avvio di nuovi sforzi con i mediatori Qatar, Egitto e Turchia per riprendere le trattative sul cessate il fuoco a Gaza. 

L’appello dei Papi per la pace in Terra Santa

Mentre si continua a cercare la via della tregua, sale sempre più forte il grido per la pace. La storia del popolo israeliano e di quello palestinese si snoda in modo aspro e drammatico tra violenze e diritti negati. Si delinea uno scenario lacerante in cui si inserisce, come in questi mesi, anche il dramma della guerra scoppiata il 7 ottobre del 2023 dopo il tragico attacco da parte di miliziani di Hamas in Israele. Con lo scoppio del conflitto la situazione umanitaria dei palestinesi è diventata sempre più drammatica. Per israeliani e palestinesi la guerra è ormai un dramma quotidiano. I Papi e la Chiesa hanno sempre guardato con affetto e considerazione a questi due popoli. Cercando le riflessioni dei Pontefici sulle molteplici questioni che da decenni affliggono il Medio Oriente, emerge una bussola permanente, un auspicio costante: il pensiero dei Papi è sempre rivolto alla pace con appelli continui affinché le armi tacciano e il dialogo abbia il sopravvento su qualsiasi forma di odio.

Paolo VI: non si può restare silenziosi

È la fratellanza la chiave per costruire una autentica pace. Si deve dare “massima considerazione alle necessità vitali dei profughi e delle popolazioni vittime delle anormali condizioni causate dai presenti conflitti”, sottolinea Papa Paolo VI all’Angelus del 14 marzo 1971 . Davanti all’orrore della guerra, non si può “rimanere indifferenti e silenziosi”.

Paolo VI e lo statuto di Gerusalemme

Noi sentiamo ripercuotersi nel nostro cuore le violenze, le sofferenze, le rovine, le minacce di queste scene di guerra, e assumiamo in Noi, a causa del nostro ministero, le ansie e le aspirazioni delle popolazioni coinvolte nelle interminabili contese, come pure facciamo nostri i sentimenti dell’intera umanità desiderosa di ordine e di tranquillità. Perciò noi con umile, ma non timida voce ci rivolgiamo alle grandi istituzioni internazionali affinché vogliano promuovere e favorire senza posa ogni leale tentativo di un equo ristabilimento di normali rapporti fra i popoli. Noi scongiuriamo i capi responsabili delle parti in causa a dare effettiva esecuzione ai loro conclamati propositi di conclusive trattative per un nuovo ed onorevole equilibrio internazionale… E riferendoci più specialmente alla situazione del prossimo Oriente, la quale merita ben più ampio discorso, sentiamo di avere anche noi un grave diritto-dovere da tutelare, e non solo in nostro nome, ma anche di tutta la cristianità, quello del riconoscimento delle peculiari esigenze dei Luoghi Santi nella Palestina, della permanenza dei Cristiani in quell’avventurato Paese, e dello statuto di Gerusalemme, dove non si può negare la convergenza specialissima d’un pluralismo di diritti storici e religiosi.

Giovanni Paolo I: mai Dio dimenticherà il suo popolo

La pace è un cantiere in cui non si deve mai smettere di custodire i semi della fratellanza. Nella storia sono molteplici i momenti in cui gli sforzi del dialogo hanno portato ad evitare conflitti o a far terminare lunghe guerre, anche senza apparenti vie di uscita. In quella del Medio Oriente non sono mancati i tentativi ed altri si aggiungeranno a quelli già compiuti. Nel 1978 a Camp David, negli Stati Uniti, il presidente americano Carter, quello egiziano Sadat e il primo ministro israeliano Begin erano impegnati nel trovare soluzioni per la Terra Santa. Papa Giovanni Paolo I, all’Angelus del 10 settembre 1978, aveva ricordato quei passi, poi non risolutivi, verso la pace. Non è mai troppo tardi per intraprendere questo cammino.

Giovanni Paolo I: gli uomini hanno sete di pace

Di pace hanno fame e sete tutti gli uomini, specialmente i poveri, che nei turbamenti e nelle guerre pagano di più e soffrono di più. Per questo tutti guardano con interesse e grande speranza al convegno di Camp David. Anche il Papa ha pregato, fatto pregare e prega perché il Signore si degni di aiutare gli sforzi di questi uomini politici. Io sono stato molto ben impressionato dal fatto che i tre Presidenti abbiano voluto pubblicamente esprimere la loro speranza nel Signore con la preghiera. I fratelli di religione del Presidente Sadat sono soliti dire così: “C’è una notte nera, una pietra nera e sulla pietra una piccola formica; ma Dio la vede, non la dimentica”. Il presidente Carter, che è fervente cristiano, legge nel Vangelo: “Bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato. Non un capello cadrà dalla vostra testa senza che lo voglia il Padre vostro che è nei cieli”. E il Premier Begin ricorda che il popolo ebreo ha passato un tempo momenti difficili e si è rivolto al Signore lamentandosi dicendo: “Ci hai abbandonati, o Signore, ci hai dimenticati!”. “No! – ha risposto Dio per mezzo di Isaia profeta – Può forse una mamma dimenticare il proprio bambino? Ma anche se succedesse, mai Dio dimenticherà il suo popolo”.

Giovanni Paolo II: le armi non sono la soluzione

Le armi non potranno mai favorire una convivenza tra i popoli. Papa Giovanni Paolo II, all’Angelus dell’11 agosto del 2002, pronuncia sulla situazione in Medio Oriente parole riferite all’inizio del terzo millennio. Dalla voce di Papa Wojtyła emerge un quadro che non si discosta dal tragico scenario di questi giorni di guerra.

Giovanni Paolo II: armi e muri non portano alla pace

Quando si riuscirà a capire che la convivenza tra il popolo israeliano e quello palestinese non può scaturire dalle armi? Né attentati, né muri di separazione, né rappresaglie condurranno mai ad un’equa soluzione del conflitto in atto. Il Papa soffre con quanti piangono lutti e distruzioni; è vicino soprattutto ai numerosi innocenti, che pagano il prezzo di tale violenza. Egli desidera ripetere a tutti, a qualsiasi gruppo etnico appartengano, che non vi è alcuna giustificazione per chi uccide in modo indiscriminato persone civili indifese. Dal 1967 ad oggi, c’è stato un susseguirsi spaventoso di indicibili sofferenze: sofferenze dei palestinesi, cacciati dalle proprie terre o costretti, in questi ultimi tempi, a uno stato di permanente assedio, oggetto quasi di una punizione collettiva; sofferenze della popolazione israeliana, che vive nel quotidiano terrore di essere bersaglio di anonimi attentatori.

Benedetto XVI: stabilità per israeliani e palestinesi

Una pace giusta e durevole, nei Territori Palestinesi e in tutta la regione. È quanto auspica Papa Benedetto XVI durante il pellegrinaggio nel 2009 in Terra Santa. L’obiettivo di due popoli e di due Stati sembra lontano ma non si può spegnere la fiamma della speranza. Queste le sue parole durante l’incontro a Betlemme con il presidente palestinese Mahmoud Abbas (13 maggio 2009):

Benedetto XVI: si superino rancori e contrasti

La Santa Sede appoggia il diritto del suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei Suoi antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti. Anche se al presente questo obiettivo sembra lontano dall’essere realizzato, io incoraggio Lei e tutto il suo popolo a tenere viva la fiamma della speranza, speranza che si possa trovare una via di incontro tra le legittime aspirazioni tanto degli Israeliani quanto dei Palestinesi alla pace e alla stabilità. Secondo le parole del Papa Giovanni Paolo II, non vi può essere “pace senza giustizia, né giustizia senza perdono” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002). Supplico tutte le parti coinvolte in questo conflitto di vecchia data ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frappongono sulla via della riconciliazione, per arrivare a tutti ugualmente con generosità e compassione, senza discriminazione.

Francesco e i benefici della pace

Anche Papa Francesco sottolinea che il tratto di storia dolorosa percorso dal popolo israeliano e da quello palestinese attende un solo epilogo: “Il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti”. Durante il pellegrinaggio in Terra Santa nel 2014, Francesco saluta con queste parole tutto il popolo palestinese:

Francesco: dalla pace in Terra Santa benefici per il mondo intero

La pace porterà con sé innumerevoli benefici per i popoli di questa regione e per il mondo intero. Occorre dunque incamminarsi risolutamente verso di essa, anche rinunciando ognuno a qualche cosa. Auguro ai popoli palestinese e israeliano e alle rispettive Autorità di intraprendere questo felice esodo verso la pace con quel coraggio e quella fermezza necessari per ogni esodo. La pace nella sicurezza e la mutua fiducia diverranno il quadro di riferimento stabile per affrontare e risolvere gli altri problemi e offrire così un’occasione di equilibrato sviluppo, tale da diventare modello per altre aree di crisi.

L’appello dei Papi per la Terra Santa resta ancora oggi in attesa di risposta. La guerra continua a sconvolgere i popoli di Israele e Palestina. La strada verso la fine del conflitto è impervia. È un percorso denso di nubi, sofferenze e ferite. Ma per il popolo palestinese e per quello israeliano la pace rimane l’unica via veramente percorribile. Una delle immagini iconiche, in questo senso, è quella dell’abbraccio durante la visita di Francesco a Verona, lo scorso mese di maggio, di due imprenditori provenienti rispettivamente da Israele e Palestina. Due uomini a cui la guerra ha strappato i familiari. Il loro abbraccio con il Papa resta un segno di speranza.



Dal sito Vatican News

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