La Meloni protegge la figlia dall’invadenza dei media

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Quello che dobbiamo sapere della piccola Ginevra, 7 anni, figlia di Giorgia Meloni e Andrea Giambruno è tutto in un suo biglietto postato dalla mamma in seguito alla vittoria delle elezioni lo scorso 26 settembre: «Cara Mammina, sono tanto felice che hai vinto. Ti amo tanto». E questo ci deve bastare.

Il resto, la sua vita privata, le immagini, le frequentazioni, qualunque giornalista serio, che è tenuto a conoscere e rispettare la Carta di Treviso, sa che non può diventare un contenuto da diffondere a mezzo stampa. Ne va della serenità di una bambina che va protetta come tutti i suoi coetanei.

Purtroppo la leader di Fratelli d’Italia e il compagno hanno dovuto ricorrere alla vie legali per tutelare la figlia. Hanno giustamente diffidato tutti i media: «a evitare in qualunque modo e con qualunque mezzo di pubblicare o divulgare immagini che ritraggano la  figlia minore; e ad astenersi altresì dal pedinarla, accerchiarla e intimorirla con presenze inopportune; nonché, infine, dal rendere pubblici e riconoscibili, anche visivamente, nomi, indirizzi e recapiti dei luoghi abitualmente frequentati dalla minore (casa, scuola, centri sportivi e ricreativi, e altro), come già incautamente e illegittimamente accaduto in queste ore».

La diffida è stata inviata per Meloni e Giambruno dall’avvocato Annamaria Bernardini De Pace, ed è rivolta ad «ogni mezzo di informazione pubblico o privato, cartaceo o online – agenzie di stampa, editori, quotidiani, rotocalchi, riviste, magazine, periodici, settimanali».

La diffida, spiega il legale avviene nel rispetto dell’attuale normativa comunitaria in materia di privacy e dell’art. 2 della Carta di Treviso, che impone la garanzia de “l’anonimato, la riservatezza, la protezione dei dati personali e dell’immagine del minorenne in qualsiasi veste coinvolto in fatti di cronaca, anche non aventi rilevanza penale ma lesivi della sua personalità”; e che vieta la pubblicazione di ogni e qualsiasi informazione o dato che possa permettere l’identificazione del bambino, quali, per esempio, “l’indirizzo dell’abitazione o della residenza, la scuola, le associazioni, le comunità fisiche e virtuali, i luoghi di culto frequentati e qualsiasi altra indicazione o elemento di riconoscimento”.

«Chiunque disattenderà questi moniti», scrive nella lettera Bernardini de Pace «andrà incontro alle inevitabili conseguenze di legge in tutte le opportune sedi, giudiziarie e disciplinari».

 





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