Marta Ottaviani con Erdogat.
di Lorenzo Rossi
Con Istanbul. Cronache graffianti dalla città degli imperatori (Paesi Edizioni, collana “Città Geopolitiche”), Marta Federica Ottaviani, giornalista esperta di Esteri, con uno sguardo acuto al Vicino Oriente e ai Balcani, ci consegna una perla rara nel panorama editoriale contemporaneo: un ibrido tra saggio geopolitico, diario sentimentale e romanzo urbano, narrato con un espediente letterario sorprendente e affascinante — la voce narrante di un gatto. Erdogat, il felino protagonista e alter ego dell’autrice, è ben più di una trovata stilistica: è un Virgilio baffuto che ci guida attraverso le pieghe storiche, sociali e spirituali della metropoli sul Bosforo. Da Nişantaşı a Fatih, da Eminönü a Sultanahmet, ogni quartiere viene raccontato con precisione, passione e uno humour tagliente che non scade mai nella caricatura. Dietro ogni battuta c’è uno studio approfondito, dietro ogni osservazione felina c’è lo sguardo disincantato di una giornalista esperta di Turchia e attenta alle sue metamorfosi.
Il vero miracolo del libro è l’equilibrio: tra politica e poesia, tra ironia e denuncia, tra il sacro e il profano. L’autrice, che ha vissuto oltre un decennio nell’antica Bisanzio, condividendone usi e costumi, oltre che apprendendone la lingua, si muove agilmente tra i grandi temi — l’islamizzazione crescente, la trasformazione urbanistica, la scomparsa delle minoranze, la resistenza culturale — e i dettagli apparentemente minimi ma rivelatori fotografati con una scrittura agile e accattivante: le bancarelle di Eminönü, i parrucchieri di Fatih, la piega perfetta dei veli, i gatti sui tetti del complesso di Süleymaniye. Ottaviani non ha paura di mostrare le ferite della città, ma neppure rinuncia ad amarla. Istanbul, qui, è una creatura viva, fatta di odori, ricordi, ingiustizie, tramonti e spiedini di montone. È una città che cambia, che resiste, che affascina e respinge, come certi grandi amori. Ed è proprio questo amore – doloroso, autentico, irriducibile – a rendere questo libro così potente. Istanbul non è una guida, né un saggio accademico. È molto di più. È una dichiarazione d’amore, una resa dei conti, un testamento culturale. È un viaggio nella città e dentro se stessi, con la voce saggia, sarcastica e malinconica di un gatto che ha visto tutto, e che tutto comprende. Anche l’umana, disarmante nostalgia.