Israele: difficile, ma non impossibile. La sfida del premier Netanyahu

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Un governo forte per tutti i cittadini: lo ha promesso il premier uscente israeliano Netanyahu, incaricato di formare il nuovo esecutivo, nonostante la mancanza di maggioranza

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

La promessa è quella di stabilire un governo forte, non di paralisi, ma di azione, facendo ogni sforzo per mettere fine al ciclo continuo di elezioni. Benjamin Netanyahu, premier incaricato israeliano, il più longevo primo ministro del Paese, ma anche il primo ad affrontare un processo con l’accusa di corruzione, frode e abuso di potere, non scende dal carro del vincitore, nonostante il perdurare dello stallo politico certificato dal voto di marzo, il quarto in meno di due anni, e nonostante non abbia la maggioranza per formare il governo. Ma, a due settimane dalle parlamentari, il capo dello Stato Rivlin lo ha incaricato di mettere assieme un nuovo esecutivo, perché nessun candidato, ha detto il presidente, “ha una reale possibilità di avere successo”.  E non sarà il procedimento penale in corso a fermarlo, perché Netanyahu sarebbe costretto a dimettersi solo in caso di condanna definitiva, il che potrebbe richiedere anni.

Le urgenze del Paese

13 i partiti che si dividono i 120 seggi della Knesset, il parlamento israeliano insediatosi ieri. Netanyahu, con il Likud, ha l’appoggio di 52 parlamentari contro i 45 dell’avversario, il leader centrista Yaiur Lapid.  Ai nuovi deputati, di qualsiasi formazione, Netanyahu ha promesso di essere il loro primo ministro. “Sarà difficile, ma possibile”, ha assicurato, elencando le urgenze che affronterà il prossimo governo d’Israele: acquistare nuovi vaccini anti-Covid, ridare slancio all’economia colpita dalla pandemia, combattere la minaccia nucleare iraniana, rafforzare il percorso di normalizzazione delle relazioni con Paesi arabo-islamici e opporsi all’indagine per crimini di guerra della Corte Penale Internazionale. A Netanyahu dovranno essere sufficienti 28 giorni per mettere insieme una coalizione di governo. In caso di fallimento, il presidente Rivlin avrà due opzioni: dare l’incarico a qualcun’altro o lasciare la mano alla Knesset. Se anche questa dovesse fallire, il nuovo Parlamento si scioglierebbe e Israele tornerebbe al voto, per la quinta volta in poco più di due anni. 



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