inviato a Trieste
«Mettendoci davanti al Signore Gesù e posando lo sguardo sulle sfide che ci interpellano, sulle tante problematiche sociali e politiche discusse anche in questa Settimana Sociale, sulla vita concreta della nostra gente e sulle sue fatiche, possiamo dire che oggi abbiamo bisogno proprio di questo: lo scandalo della fede».
Papa Francesco a Trieste conclude la 50esima Settimana sociale dei cattolici in Italia con la Messa in piazza Unità d’Italia, la più grande d’Europa tra quelle che s’affacciano sul mare, gremita di fedeli fino alla banchina del molo, poco distante dal Porto Audace dove Francesco è atterrato poche ore prima.
Tra i fedeli, in totale sono circa 8.500, non ci sono solo i triestini e le persone arrivate da tutto il Friuli Venezia Giulia ma anche da Austria, Croazia, Slovenia, Inghilterra, Australia, Germania, Argentina, Colombia, Venezuela, Ucraina, Bielorussia, Perù, Nigeria, Camerun. Tra i vescovi che concelebrano alcuni sono arrivati anche dalle vicine Croazia, Slovenia e Austria. In totale, a concelebrare con il Papa ci sono 98 vescovi e 260 sacerdoti. Sono inoltre presenti i pastori delle Chiese serbo-ortodossa, che in città si ritrova nella chiesa di San Spiridione, greco-ortodossa, che si ritrova nella chiesa di San Niccolò, a pochi passi da piazza Unità d’Italia, e luterana.
Bergoglio nell’omelia sprona all’impegno sociale e civile perché, avverte, non abbiamo bisogno «di una religiosità chiusa in se stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade».
L’impegno sociale e politico, sottolinea il Papa, deve avere un centro preciso: lo scandalo di Gesù, Dio fatto uomo, e di una fede radicata in Lui, «una fede umana, una fede di carne», sottolinea, «che entra nella storia, che accarezza la vita della gente, che risana i cuori spezzati, che diventa lievito di speranza e germe di un mondo nuovo. È una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe della società, che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta», sottolinea il Papa, «che ci aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo».
Il Pontefice arriva in piazza attorno alle 9.40, in anticipo rispetto all’orario previsto, dopo aver incontrato nel generali Convention Center i quasi novecento delegati delle diocesi italiane che hanno partecipato alla cinquantesima Settimana Sociale sul tema “Al cuore della democrazia”. Si ferma a salutare i fedeli e benedire alcuni neonati. Poi poco dopo le 10 ha inizio la celebrazione eucaristica con la piazza inondata dal sole e da un caldo piuttosto umido.
Nell’omelia, il Pontefice prende spunto dal brano del Vangelo del giorno per spiegare che «Gesù fa la stessa esperienza dei profeti. Egli ritorna a Nazaret, la sua patria, in mezzo alla gente con cui è cresciuto, eppure non viene riconosciuto, viene addirittura rifiutato: “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”». Il Vangelo, nota Bergoglio, «ci dice che Gesù “era per loro motivo di scandalo” ma la parola “scandalo” non si riferisce a qualcosa di osceno o di indecente secondo l’uso che ne facciamo noi oggi; scandalo significa “una pietra di inciampo”, cioè un ostacolo, un impedimento, qualcosa che ti blocca e ti impedisce di andare oltre. Qual è l’ostacolo», chiede il Pontefice, «che impedisce di credere a Gesù? Ascoltando i discorsi dei suoi compaesani, vediamo che si fermano solo alla sua storia terrena, alla sua provenienza familiare e, perciò, non riescono a spiegarsi come dal figlio di Giuseppe il falegname, cioè da una persona comune, possa uscire tanta sapienza e perfino la capacità di compiere prodigi. Lo scandalo, allora, è l’umanità di Gesù».
Il Papa definisce qual è lo scandalo della fede cristiana, ossia il fatto che si fondata su un «Dio umano, che si abbassa verso l’umanità, che di essa di prende cura, che si commuove per le nostre ferite, che prende su di sé le nostre stanchezze, che si spezza come pane per noi», spiega, «un Dio forte e potente, che sta dalla mia parte e mi soddisfa in tutto è attraente; un Dio debole, che muore sulla croce per amore e chiede anche a me di vincere ogni egoismo e offrire la vita per la salvezza del mondo, è un Dio scomodo». Francesco chiede una fede capace di diventare «una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo. È, soprattutto, una fede che spiazza i calcoli dell’egoismo umano, che denuncia il male, che punta il dito contro le ingiustizie, che disturba le trame di chi, all’ombra del potere, gioca sulla pelle dei deboli».
Francesco definisce il consumismo una «piaga, un cancro che ti ammala il cuore, ti fa egoista, ti fa guardare solo a te stesso» notando che oggi la società è «spesso anestetizzata e stordita dal consumismo, quell’ansia di avere cose, di averne di più, di avere soldi».
Bergoglio cita anche la poesia Città vecchia (1921) di Umberto Saba nella quale il poeta triestino racconta una sua passeggiata quotidiana per le vie oscure della parte più antica di Trieste in cui gli sembra di trovare “l’infinito” grazie al contatto con la gente umile e indaffarata che vi abita: «Descrivendo in una lirica il suo abituale ritorno a casa di sera», spiega il Papa, «il poeta afferma di attraversare una via un po’ oscura, un luogo di degrado dove gli uomini e le merci del porto sono “detriti”, cioè scarti dell’umanità; eppure proprio qui – egli scrive– “io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà”, perché la prostituta e il marinaio, la donna che litiga e il soldato, “sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore”».
Il Papa invita a non dimenticare che «Dio si nasconde negli angoli scuri della vita e delle nostre città, la sua presenza si svela proprio nei volti scavati dalla sofferenza e laddove sembra trionfare il degrado. L’infinito di Dio», prosegue, «si cela nella miseria umana, il Signore si agita e si rende presenza amica proprio nella carne ferita degli ultimi, dei dimenticati e degli scartati. E noi, che talvolta ci scandalizziamo inutilmente di tante piccole cose, faremmo bene invece a chiederci: perché dinanzi al male che dilaga, alla vita che viene umiliata, alle problematiche del lavoro, alle sofferenze dei migranti, non ci scandalizziamo? Perché restiamo apatici e indifferenti dinanzi alle ingiustizie del mondo? Perché non prendiamo a cuore la situazione dei carcerati, che anche da questa città di Trieste si leva come un grido di angoscia?».
Francesco ricorda che «anche noi cristiani: siamo chiamati a essere profeti e testimoni del Regno di Dio, in tutte le situazioni che viviamo, in ogni luogo che abitiamo. Da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità; non scandalizziamoci di Gesù ma, al contrario, indigniamoci per tutte quelle situazioni in cui la vita viene abbruttita, ferita e uccisa; portiamo la profezia del Vangelo nella nostra carne, con le nostre scelte prima ancora che con le parole».
Il Papa, alla fine dell’omelia, si rivolge alla chiesa di Trieste: «Vorrei dirvi: avanti! Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza, specialmente verso coloro che arrivano dalla rotta balcanica e verso tutti coloro che, nel corpo o nello spirito, hanno bisogno di essere incoraggiati e consolati. Impegniamoci insieme: perché riscoprendoci amati dal Padre possiamo vivere come fratelli tutti».
Al termine della celebrazione eucaristica, in anticipo rispetto all’orario consueto delle 12, il Papa ha recitato l’Angelus ricordando, tornando al tema della Settimana Sociale dei cattolici, che «come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; e come cittadini avete la Costituzione, “bussola” affidabile per il cammino della democrazia. E allora, avanti! Senza paura, aperti e saldi nei valori umani e cristiani, accoglienti ma senza compromessi sulla dignità umana. Su questo non si gioca».
Poi Francesco, ancora una volta, ha invitato a «pregare e operare per la pace: per la martoriata Ucraina, per la Palestina e Israele, per il Sudan, il Myanmar e ogni popolo che soffre per la guerra».