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“In fede, Rosario Livatino”: in un documentario la storia del magistrato, martire e beato

“Oggi ho prestato giuramento: da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige”. Scriveva così sulla sua agenda, un emozionato Rosario Livatino nel luglio del 1978, all’età di 25 anni. Il sogno di lavorare come magistrato sarebbe però durato poco. Il 21 settembre 1990 Livatino rimane vittima di un agguato della Stidda, ucciso a 37 anni per le inchieste condotte come giudice a latere alla Procura di Agrigento. Un “martire della giustizia e della fede” come disse Papa Francesco nei giorni della beatificazione, avvenuta nel 2021, a volere sottolineare quanto la spiritualità fosse parte integrante del suo modo di essere e di intendere la missione che aveva scelto di intraprendere.

Ed è proprio questa dimensione profonda il filo conduttore di ‘In Fede: Rosario Livatino’, documentario scritto da Matteo Billi con la regia di Omar Pesenti, in onda in prima assoluta su Rai 1 stasera, domenica 4 maggio, alle 22:50. Prodotto da Officina della Comunicazione e Loft Produzioni, in collaborazione con Rai Documentari, il docufilm ripercorre l’operato e lo spessore umano e religioso di Livatino, l’impegno che profuse nell’individuare e indagare per primo all’interno della Procura di Agrigento, sulla Stidda, l’organizzazione mafiosa che negli anni Ottanta del secolo scorso arrivò a rivaleggiare con Cosa Nostra. Un racconto che si avvale anche di un’intervista esclusiva a Piero Nava, il testimone oculare che permise di identificare i killer del giudice e che, da quel momento, ha dovuto vivere sotto copertura, cambiando identità.

Si tratta del terzo documentario che i tre produttori dedicano a testimoni di legalità e lotta per la giustizia, dopo il successo sulla figura del beato don Pino Puglisi, assassinato dalla mafia a Palermo nel 1993 e don Peppe Diana, ucciso dalla camorra a Casal di Principe nel 1994. Un lavoro che sa parlare anche ai giovani grazie a un montaggio ritmato e a scelte grafiche d’impatto che fanno da collante tra le testimonianze di chi ha conosciuto e ha lavorato al fianco di Livatino, i materiali di archivio – verbali d’indagine, pagine di giornale, immagini di Tg, programmi Rai dell’epoca – e le scene di fiction con l’attore Angelo Sferrazza nelle vesti del “giudice ragazzino”. Tessitori della narrazione sono i testimoni di quegli anni: Salvatore Cardinale, ex sostituto procuratore di Agrigento; Salvatore Insegna, cugino di Rosario Livatino; Don Giuseppe Livatino, parroco della chiesa di S. Francesco a Canicattì; Luisa Turco, ex giudice del tribunale di Agrigento; Sebastiano Mignemi, ex procuratore di Caltanissetta (ora presidente di sezione del tribunale di Catania); e i giornalisti Franco Castaldo e Toni Mira.

Il ritratto di Livatino che viene fuori è quello di un uomo mite, minuto nel fisico, per nulla amante dei riflettori. Un bravo magistrato che lavorava in silenzio, tra i primi a comprendere i traffici finanziari ed economici della criminalità attraverso società cartiere e false fatturazioni. Le indagini hanno rivelato che l’ordine di ucciderlo fu dato per le confische di beni che aveva disposto e, ancora di più, perché era considerato “inavvicinabile” dalla Stidda, incorruttibile. Un esempio pericoloso.

Tra le tante immagini di repertorio selezionate c’è quella di Papa Giovanni Paolo II durante la visita apostolica dell’8-9 maggio1993. In quell’occasione il Pontefice incontrò i genitori di Livatino. Alla fine della messa del 9 maggio alla Valle dei Templi prese il microfono, pronunciando un anatema passato alla storia: “Dio ha detto una volta: ‘non uccidere’. Non può uomo qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi, una volta verrà il giudizio di Dio!”.

Il processo di beatificazione di Rosario Livatino, iniziato nel 2011 con il decreto emanato dal vescovo di Agrigento su richiesta dell’associazione Amici del Giudice Rosario Livatino, ha fatto emergere numerosi episodi a conferma della fede del magistrato e del suo martirio. Dalla scelta di rifiutare la scorta per non mettere in pericolo altre vite, all’abitudine di andare in chiesa a pregare ogni mattina prima di entrare in Procura; alle lettere “STD”, appuntate su più pagine dell’agenda: Sub tutela dei, “sotto lo sguardo di Dio”.





Dal sito Famiglia Cristiana

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