Il Papa: attenzione alla superbia spirituale, dove c’è troppo “io”, c’è poco Dio

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Il fariseo pieno di sé e il pubblicano, che si ferma a distanza e chiede perdono, sono i protagonisti della parabola evangelica commentata da Papa Francesco all’Angelus. Entrambi salgono al tempio, ma la preghiera di uno solo arriva a Dio. Vigiliamo sul narcisismo e sull’esibizionismo – avverte Francesco – che portano anche noi cristiani, noi preti, noi vescovi ad avere sempre la parola ‘io’ sulle labbra

Adriana Masotti – Città del Vaticano

Salire e scendere: sono i due movimenti su cui si concentra la riflessione di Papa Francesco all’Angelus di questa domenica in cui il brano del Vangelo di Luca presenta la parabola del fariseo e del pubblicano, “un uomo religioso e un peccatore conclamato”. Entrambi, dice il Papa, salgono al tempio ma solo il pubblicano “si eleva veramente a Dio”, perché si presenta umilmente nella verità di se stesso.

Salire per incontrare il Signore

Papa Francesco osserva che il verbo salire compare in tanti episodi della Bibbia, ricorda Abramo e Mosè che salgono sul monte per incontrare il Signore, e lo stesso Gesù che sul monte vive l’esperienza della trasfigurazione. Il Papa commenta in riferimento a noi:

Salire, perciò, esprime il bisogno del cuore di staccarsi da una vita piatta per andare incontro al Signore; di elevarsi dalle pianure del nostro io per salire verso Dio; di raccogliere quanto viviamo a valle per portarlo al cospetto del Signore.

Più siamo umili, più Dio ci eleva

Ma poi c’è il secondo movimento, scendere: per vivere l’incontro con Dio, afferma Francesco, è necessario “scendere dentro di noi”, e guardare con onestà “le nostre fragilità e povertà”.

Nell’umiltà, infatti, diventiamo capaci di portare a Dio, senza finzioni, ciò che siamo, i limiti e le ferite, i peccati e le miserie che ci appesantiscono il cuore, e di invocare la sua misericordia perché ci risani, ci guarisca e ci rialzi. Più noi scendiamo con umiltà, più Dio ci fa salire in alto.

La superbia spirituale mette l’io al posto di Dio

Francesco descrive ancora il diverso atteggiamento interiore dei due protagonisti della parabola: il pubblicano “chiede perdono”, il fariseo è “convinto di essere a posto”, pone se stesso al centro, inizia a lodarsi mentre disprezza gli altri. E’ la superbia spirituale che, sottolinea il Papa, porta a adorare il proprio io e a cancellare Dio. Due atteggiamenti che “ci riguardano da vicino”. Da qui l’invito di Francesco:

Pensando a loro, guardiamo a noi stessi: verifichiamo se in noi, come nel fariseo, c’è “l’intima presunzione di essere giusti” che ci porta a disprezzare gli altri. Succede, ad esempio, quando ricerchiamo i complimenti e facciamo sempre l’elenco dei nostri meriti e delle nostre buone opere, quando ci preoccupiamo dell’apparire anziché dell’essere, quando ci lasciamo intrappolare dal narcisismo e dall’esibizionismo. Vigiliamo sul narcisismo e sull’esibizionismo, fondati sulla vanagloria, che portano anche noi cristiani, noi preti, noi vescovi ad avere sempre una parola sulle labbra. E quale parola? “Io”.

In Maria ciò che il Signore ama compiere

“Dove c’è troppo io, c’è poco Dio”, dice ancora il Papa e conclude guardando alla Vergine Maria in cui Dio mostra ciò che “ama compiere”: rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili.



Da vaticannews.va

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