Tre azioni concrete per incarnare, davvero, lo spirito del Giubileo. Perché, se non è più il suono del yobel, del corno di cui parla la Bibbia, a ricordare che c’è un Anno in cui le disuguglianze vengono colmate, è «il grido disperato di aiuto» dei più poveri che continua a salire fino al cielo che ci chiede di essere ascoltato .
Papa Franceco, per la 58ma Giornata Mondiale della Pace, che, istituita da Paolo VI, si celebra il 1° gennaio, sceglie il tema «Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace». E indica, con le parole di Giovanni Paolo II la «consistente riduzione, se non proprio il totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte Nazioni»; «l’eliminazione della pena di morte in tutte le Nazioni» e la costituzione, con «almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti» di un «Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico». Gesti volti a dare concretezza alla Speranza richiamata dall’anno Giubilare, a quel monito, che il Pontefice ricorda nelle prime righe, che va costantemente ricordato: «Nessuna persona viene al mondo per essere oppressa».
E, dunque spetta a tutti noi farci voce delle tante «situazioni di sfruttamento della terra e di oppressione del prossimo», e combattere quelle che Giovanni Paolo II chiamava «strutture di Peccato». Tutti devono sentirsi responsabili «della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità». Il Papa cita le disparità di ogni sorta, il trattamento disumano riservato alle persone migranti, il degrado ambientale, la confusione colpevolmente generata dalla disinformazione, il rigetto di ogni tipo di dialogo, e «i cospicui finanziamenti dell’industria militare». Fattori che minacciano l’intera umanità. L’Anno giubilare deve richiamare tutti a rompere queste catene di ingiustizia, ma in modo sistemico. «Non potrà bastare qualche episodico atto di filantropia. Occorrono, invece, cambiamenti culturali e strutturali, perché avvenga anche un cambiamento duraturo», afferma nel messaggio.
Dobbiamo ricordarci che i beni sono di tutti, che tutto ciò che abbiamo ricevuto è dono, e che, anche ai più peccatori Dio offre il perdono di salvezza «mediante Gesù Cristo. Perciò, insegnandoci il “Padre nostro”, Gesù ci invita a chiedere: “Rimetti a noi i nostri debiti”».
Il legame con il Padre fondamentale per instaurare relazioni che non siano governate da logiche di sfruttamento. «Come le élite ai tempi di Gesù, che approfittavano delle sofferenze dei più poveri, così oggi nel villaggio globale interconnesso, il sistema internazionale, se non è alimentato da logiche di solidarietà e di interdipendenza, genera ingiustizie, esacerbate dalla corruzione, che intrappolano i Paesi poveri», denuncia Francesco. «La logica dello sfruttamento del debitore descrive sinteticamente anche l’attuale “crisi del debito”, che affligge diversi Paesi, soprattutto del Sud del mondo», insiste. «Il debito estero», si legge nel messaggio, «è diventato uno strumento di controllo, attraverso il quale alcuni governi e istituzioni finanziarie private dei Paesi più ricchi non si fanno scrupolo di sfruttare in modo indiscriminato le risorse umane e naturali dei Paesi più poveri, pur di soddisfare le esigenze dei propri mercati». Al debito economico si aggiunge il debito ecologico generato dai Paesi più sviluppati.
Per questo è urgente intervenire con un cambiamento culturale che chiede di riconoscersi «finalmente tutti figli del Padre e, davanti a Lui», confessarsi «tutti debitori, ma anche tutti necessari l’uno all’altro, secondo una logica di responsabilità condivisa e diversificata». Solo se si combattono le ingiustizie e le disuguaglianze si potrà davvero lavorare per una pace duratura e aprire il cuore alla Speranza.
Sapendo che la misericordia con cui Dio ci perdona è offerta a tutti. Nella preghiera del “Padre nostro”, ricorda Francesco, Gesù «pone l’affermazione molto esigente “come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” dopo che abbiamo chiesto al Padre la remissione dei nostri debiti. Per rimettere un debito agli altri e dare loro speranza occorre, infatti, che la propria vita sia piena di quella stessa speranza che giunge dalla misericordia di Dio. La speranza è sovrabbondante nella generosità, priva di calcoli, non fa i conti in tasca ai debitori, non si preoccupa del proprio guadagno, ma ha di mira solo uno scopo: rialzare chi è caduto, fasciare i cuori spezzati, liberare da ogni forma di schiavitù».
Se davvero si intraprenderà questa strada, se si proteggerà la vita dal concepimento alla sua fine, se si smetterà di sfruttare i fratelli e le sorelle si potrà vedere «più vicina la tanto agognata meta della pace. Il Salmista ci conferma in questa promessa: quando “amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno”».
E, dunque, l’augurio che fa il Papa è che, l’anno giubilare sia «un anno in cui cresca la pace! Quella pace vera e duratura, che non si ferma ai cavilli dei contratti o ai tavoli dei compromessi umani. Cerchiamo la pace vera, che viene donata da Dio a un cuore disarmato: un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo». Bastano anche piccoli gesti, come «un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito. Con questi piccoli grandi gesti, ci avviciniamo alla meta della pace e vi arriveremo più in fretta, quanto più, lungo il cammino accanto ai fratelli e sorelle ritrovati, ci scopriremo già cambiati rispetto a come eravamo partiti. Infatti, la pace non giunge solo con la fine della guerra, ma con l’inizio di un nuovo mondo, un mondo in cui ci scopriamo diversi, più uniti e più fratelli rispetto a quanto avremmo immaginato».
Infine, nel porgere gli auguri a tutti i leader delle nazioni, ai responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai leader delle diverse religioni, ad ogni persona di buona volontà, il Papa consegna una preghiera:
«Rimetti a noi i nostri debiti, Signore», scrive al termine del messaggio,
«come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e in questo circolo di perdono concedici la tua pace,
quella pace che solo Tu puoi donare
a chi si lascia disarmare il cuore,
a chi con speranza vuole rimettere i debiti ai propri fratelli,
a chi senza timore confessa di essere tuo debitore,
a chi non resta sordo al grido dei più poveri».