L’animatronico più famoso di sempre forse è quello di E.T. – L’extraterrestre, creato da Carlo Rambaldi nel 1982. Si tratta di robot che possono muoversi in autonomia, programmati per effettuare determinate interazioni con il mondo circostante. Di sicuro sono gli antenati degli effetti speciali che conosciamo oggi: ormai intangibili e sempre realizzati con un computer. Vederli in attività alimenta l’effetto nostalgia di cui si nutre il cinema contemporaneo. Gli anni Ottanta sono tornati da tempo, come suggerisce la serie Stranger Things. Un nuovo tassello viene aggiunto da The Legend of Ochi di Isaiah Saxon.
Gli Ochi sono creature dei boschi. Gli uomini danno loro la caccia, credono che siano mostri feroci. È una guerra. Ma una bambina va controcorrente. Si imbatte in un cucciolo, lo cura e decide di riportarlo dalla mamma, scatenando l’inferno. Il piccolo è un animatronico particolarmente riuscito, diretto discendente di E. T. (una scena sembra omaggiare il mitico “telefono casa”), di I Goonies di Richard Donner, e allineato all’estetica dei Gremlins (qui in chiave angelica e non demoniaca) di Joe Dante. The Legend of Ochi richiama quindi un immaginario lontano, ma incredibilmente vicino. E si rivela una sorpresa in un’epoca di immagini roboanti e spesso senza significato. Si interroga sul linguaggio, sull’incontro tra culture diverse, sulla necessità di dialogare.
Ancora una volta la lotta è tra uomo e natura, l’intento è anche ecologista. In un’atmosfera brumosa, sospesa tra la favola e l’incubo. L’impostazione è trasversale, si interpellano generazioni diverse. I più piccoli si divertono con un amico inconsueto (e qualche brivido), i grandi abbracciano con malinconia un cinema ormai antico. Ed è proprio qui la forza di The Legend of Ochi: è un ponte tra passato e presente. È fuori tempo, ma anche moderno.
Saxon dà vita a un alieno, un ibrido, che trova la sua identità giocando tra i decenni. Non mancano i sorrisi (Willem Dafoe vestito da condottiero, Emily Watson che ascolta Sarà di Franco Simone nonostante il film sia ambientato in un paesino prossimo al Mar Nero), e anche qualche lacrima degna dei feel good movie per famiglie. Per Saxon si tratta dell’esordio dietro la macchina da presa, e la speranza è che continui a seguire questa strada senza snaturarsi.