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Il caso Stellantis, ovvero distruggi un’impresa, prendi i soldi e scappa

Da Olivetti, che poneva il limite del rapporto di uno a dieci tra i salari degli operai e quello manager, alle dimissioni di Tavares sembra passata un’eternità.  Mentre il caso Stellantis, vera e propria macchina da soldi scollata dalla realtà, con pochi precedenti nell’industria dell’auto, continua a far discutere per la super liquidazione, a fronte di un danno di proporzioni epiche, del ceo Carlos Tavares, che sia di 100 milioni o di 36 poco importa, decine di migliaia di dipendenti RISCHIANO il posto di lavoro, mentre gli azionisti si spartiscono dividenti record: 16,1 miliardi di euro in quattro anni.
Il nocciolo, nel solco di papa Francesco, che ha denunciato lo stato patologico di tanta parte dell’economia mondiale invitando a un nuovo modello economico, si risolve in poche domande: quanto deve essere pagato un super manager? Qual è il limite alal sua buobuscita? Decide solo il mercato o c’è un discorso etico da affrontare? «È la super star economy, come nel calcio, dove top player prendono milioni di euro», commenta l’economista Luigino Bruni, docente di economia politica presso l’Università Lumsa di Roma e vicepresidente della Fondazione The Economy of Francesco. «Ormai i super manager si fanno gli stipendi da soli non avendo più dall’altra parte del contratto una proprietà precisa, un volto, una famiglia, ma dei fondi, delle realtà disseminate in migliaia di azionisti.  Sono una casta autoreferenziale che si definisce le regole. Questo è uno dei più grandi scandali etici, e un fallimento del mercato, che si riversa sulla società».

Come si è arrivati a questo punto?
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Stiamo regolamentando tutto in Europa: da come si produce l’ultimo chicco d’uva al colore dei taxi nelle città ma non riusciamo a regolamentare uno scandalo del genere, che è evidentemente un abuso di potere. Non è il mercato: è un anti-mercato, sono delle forme di rendita di lobby che hanno conquistato il potere e con questo potere fanno i loro interessi, non quello dell’azienda, e men che meno il bene comune».
Come se ne esce?
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Intanto parlandone di più e denunciando gli abusi, come si denunciano in tutti i settori. Se ne parla un po’ quando scatta la notizia e il resto dell’anno, quando le cose si acquietano, stiamo tutti zitti. Ho provato a dire la mia nel corso degli anni, ho fatto anche un referendum in un cantone svizzero per mettere un tetto agli stipendi, ma fu perso. Chiaramente c’è l’idea che il mercato debba fare il mercato, ma questo, ripeto, è l’anti mercato».
Spieghiamo meglio…
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Il mercato, con la concorrenza, porta all’abbassamento dei prezzi, invece queste sono forme di monopolio in cui un gruppo potente comanda e fa il buono e cattivo tempo a suo vantaggio».
In Italia il salario minimo contribuirebbe a migliorare le cose?
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Non riusciamo a fissare il salario minimo per garantire dignità ai lavoratori e poi assistiamo a questi assurdi stipendi dei top manager, non stabiliti sulla base dell’efficienza, che al contrario dei primi non hanno un tetto massimo prefissato. Questo è il paradosso vivente: stiamo dentro a una struttura di peccato.  Dobbiamo essere noi consumatori a chiederlo. Se l’industria è cambiata nel campo ambientale è perché i cittadini hanno protestato, perché dal basso si è levata la protesta, che deve levarsi anche di fronte a questa situazione. Mente per quanto riguarda l’ambiente si è percepito negli anni un rapporto tra gli errori delle aziende, del capitalismo e la vita delle persone, non c’è ancora un’evidenza del rapporto tossico tra questi stipendi assurdi e la nostra vita, perché semplicemente mancano le informazioni. Tutti questi milioni sono in realtà sottratti alla ricchezza nazionale, alla sanità, alla scuola. Questi soldi non nascono dal nulla, ma sono tutte tasse di rendite sul popolo».
Adriano Olivetti diceva che nessun dirigente può guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario più basso…
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Purtroppo è un mondo che ricordiamo con nostalgia. È molto triste che la Fiat abbia fatto questa fine. Prendendo la piega del grande capitalismo mondiale ecco le conseguenze. Olivetti aveva un’altra idea di capitalismo, come ce l’aveva una buona parte del made in Italy e come ce l’avevano le cooperative».
Qual era la loro idea di capitalismo?
«Che dietro un’azienda c’è un patto sociale e che la disuguaglianza lo distrugge. Quando c’è troppa disuguaglianza degli stipendi, le aziende saltano perché viene meno il patto sociale tra imprenditori e lavoratori. Questa idea è totalmente scomparsa dal capitalismo finanziario che domina il mondo. C’ è una vera e propria malattia alimentata dall’enfasi sulla leadership, sulla meritocrazia, che poi è un’altra forma di religione. Ma ciò che accade è il contrario: questi soldi vengono dati senza nessun merito: che meriti ha questo signore che ha mandato quasi in fallimento un’azienda? L’imbroglio è che le persone pensano che tutte queste cose non abbiano a che fare con la loro ricchezza o povertà. Un capitalismo malato inquina tutti, tutti gli stipendi e tutto il prodotto interno lordo. Se le grandi imprese vivono in questo modo il rapporto con il denaro, con la disuguaglianza, tutto il sistema soffre. Le caste dei top manager sono ormai sganciate da meccanismi di efficienza, di merito. È una elite mondiale composta da forse mille persone che sta spiccando il volo e si sta allontanando da tutto il resto della popolazione».

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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