Lo so che tutti seguiamo desolati e affranti le notizie che arrivano dai fronti di guerra a noi più vicini. Andiamo avanti, facciamo tutto, perché si deve, perché è giusto così, perché siamo irresistibili, nonostante tutto, nel coltivare la speranza, o non potremmo vivere. Facciamo per bene il nostro lavoro e le faccende quotidiane, sorridiamo con i nostri figli, progettiamo le vacanze, i fine settimana. Normale.
Ma il cuore, dove stanno le domande più profonde, torna sempre alla sofferenza indicibile di tanti fratelli, lontani e pur prossimi, e non solo perché i media non ci consentono troppe distrazioni (per fortuna!). Mangiamo e c’è chi non ha da mangiare. Curiamo le nostre case, e c’è chi non ha più casa. Visitiamo parenti e amici ammalati e pensiamo a chi è ferito in ricoveri di fortuna, senza cure.
A breve ricorderemo i nostri defunti e ogni giorno pensiamo a quei figli senza più padri e madri, a quei genitori senza più i figli, spesso anzi senza il corpo dei figli. Non possiamo essere indifferenti. Non abbiamo meriti per il privilegio di vivere in questa parte del mondo.
Ma ciò che più brucia e continuamente ci infiamma è non riuscire a esprimere un giudizio, non riuscire a provare anzi fastidio per chiunque ci convinca a stare dalla parte giusta. La parte giusta c’è sempre, ma c’è anche l’altra parte.
Così, abbiamo sofferto l’anniversario del 7 ottobre, rivedendo il film dell’orrore di quei giovani massacrati, di quei kibbutz devastati dall’impensabile violenza di una politica sostenuta da un fanatismo bieco, purtroppo anche religioso. Ma c’è il popolo di Gaza, c’è il popolo del Libano, che non ha senso punire per le colpe dei terroristi che lo soggiogano. Troppi morti. Continuiamo a soffrire per i paesi in macerie della martoriata Ucraina, invasa dal peggior dittatore di questo secolo, che manda a morire tanti suoi sudditi, incolpevoli per la sua follia assassina.
Siamo a disagio con i “ma anche” che passano dall’uno all’altro fronte senza distinguere le responsabilità che hanno innescato le guerre. Eppure non ci basta stabilire chi ha responsabilità, proviamo pena e pietà per chi soffre e muore. Altrimenti ci sentiremmo meno uomini e più sporchi.
Non riusciamo a schierarci e ci imbarazza provare paura anche per noi, per i nostri figli, ma è così. Abbiamo paura, ci sentiamo impotenti davanti a un male che non può essere soltanto umano. Come se il mondo si votasse sempre al Maligno, scegliendo di lasciargli campo libero.
Resta sul cuore oppresso soltanto il balsamo della fede, della speranza contro ogni speranza, della carità che si esprime per chi può con la condivisione, l’accoglienza e per tutti può prendere la forma della preghiera. Non abbiamo altro.
Se andiamo via da Te, Signore, dove andremo. Dove stiamo andando…