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«Ecco cosa c’è dietro la tregua di Putin»: don Stefano Caprio analizza le mosse dello “zar”



Don Stefano Caprio, docente di storia e cultura russa presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma

Dopo la violazione da ambedue le parti della tregua di 30 ore concordata tra Russia e Ucraina alla vigilia della Pasqua, il conflitto torna ad animare il dibattito internazionale con l’annuncio del presidente russo Vladimir Putin di un “cessate il fuoco” di tre giorni, dal 7 al 10 maggio. Kyiv chiede che sia prolungato per un mese intero, incassando l’appoggio della Casa Bianca, secondo le parole della portavoce Karoline Leavitte: «Trump vuole una pace permanente». Ma dietro questa mossa dello “zar” sembrerebbe esserci altro.

«Da un lato, questa tregua è particolarmente significativa perché il 9 maggio, essendo l’80° anniversario della vittoria russa nella Seconda guerra mondiale, Putin vuole celebrarla al massimo della solennità; dall’altro, assieme alla memoria della vittoria sul nazismo, vuole in qualche modo celebrare anche il trionfo in Ucraina, dato che, tra i suoi obiettivi, c’è sempre stata la “denazificazione” dell’Ucraina. Più che la pace, Putin intende dichiarare la vittoria», spiega don Stefano Caprio, docente di Storia e cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma. «Per ora non ha molto di cui vantarsi. L’unica cosa concreta che potrà ottenere è il riconoscimento dell’annessione della Crimea, oltre a qualche garanzia sul Donbas. Fa tutto parte della tipica strategia di stampo sovietico: allungare il più possibile i tempi per le trattative per rimettere un po’ in sesto l’economia, soprattutto i rifornimenti militari».

Donbas e Crimea sono sempre stati tra i principali obiettivi di Putin, nonostante l’invasione su larga scala. Risulterà comunque vincitore, se dovessero andare in porto entrambi…
«Sì, per lui sarà come una vittoria, ma il vero obiettivo della guerra in Ucraina era quello di spaccare il mondo. Creare una divisione in modo che, da una globalizzazione dominata dall’Occidente, si passasse a una visione “tripolare”, con la Russia in mezzo a fare da ponte con la Cina. Questa è quella che considera la sua vera vittoria».

E l’Unione europea dove si colloca in questo scenario?
«Deve decidere. Finché era a rimorchio degli Stati Uniti, com’è sempre accaduto peraltro, era tutto più facile. Adesso, invece, Washington è molto più vicina a Mosca e, di conseguenza, l’Ue deve prendere una posizione ancora tutta da scoprire. Deve trovare un’unità al suo interno, ma non è facile: ci sono Paesi filoputiniani, come Ungheria e Slovacchia, e altri ferocemente avversi alla Russia, penso alla Francia di Macron».

Vox populi, vox Dei” dicevano i latini. Qual è l’opinione dei cittadini russi sul conflitto?
«La vox populi è stata tacitata in modo veramente violento, con una repressione di tipo stalinista. Non esistono oppositori di Putin e, se esistono, sono o in galera, o all’estero. Anche i sacerdoti, quelli più aperti, ecumenici, vivaci, sono stati tutti sospesi, ridotti allo stato laicale, oppure cacciati dal Paese. Il resto della popolazione accetta tutto questo un po’ per conformismo patriottico, un po’ per timore, evitando di contrapporvisi».

E quella del cosiddetto “apparato”? Per gli uomini vicini a Putin dev’essere ancora più difficile prendere le distanze…
«Nessuno prende le distanze, perché non è più pensabile. È una dittatura totale. C’è solo una figura che fa un po’ da contraltare».

Sarebbe?
«La presidente della Banca centrale della Federazione russa, El’vira Nabiullina. È un contraltare più “tecnico”, se vogliamo, ma comunque è da un anno che non abbassa i tassi d’interesse, continuando però ad ammonire che anche alzandoli non si riesce a far calare l’inflazione, e quindi si rischia comunque una crisi. Poi ci sono gli oligarchi che, invece, cercano in tutti i modi di sostenere Putin facendo affari con le armi, o giocando sui prezzi del petrolio».

In questa spirale recessiva, le sanzioni inflitte alla Russia sono state decisive?
«Hanno certamente avuto un grande peso, ma finora sono state raggirate in tutti i modi, grazie alla sponda fornita dalla Cina e da altri Paesi dell’Asia centrale. La crisi deriva dal fatto che tutta la produzione interna è destinata agli usi militari e, in questo modo, non si riesce più a portare avanti quella di generi di ampio consumo, che cominciano a scarseggiare. Soprattutto nelle periferie. Le grandi città come Mosca e San Pietroburgo, invece, continuano a essere finanziate, perché rimangono delle “vetrine”».

Veniamo al patriarca Kirill.
«Non s’è smarcato per niente, continua a sostenere Putin. Ogni tanto fa qualche discorso per rivendicare il ruolo di principale ideologo, ispiratore dello “zar”; parla di patriottismo, di sacralità della Russia, come se fosse lui il leader. Lo è stato all’inizio dell’era putiniana, ora non più».

Nei suoi messaggi a Fatima, nel 1917, la Vergine disse ai tre pastorelli: «Il Santo Padre mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace».
«La profezia di Fatima, legata alla consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria, è una cosa legata al secolo scorso, basata sulla rinascita religiosa del Paese. Oggi, questa rinascita ha assunto un carattere più ideologico. Di conseguenza, la rinascita religiosa si è dovuta adeguare al conformismo di Stato. In chiesa ci va il 2-3% della popolazione, non di più».

Il 7 maggio non solo segnerà la tregua temporanea tra Russia e Ucraina, ma anche l’inizio del Conclave. Cosa si aspetta?
«Si deve proseguire la linea di Ostpolitik di Francesco. In quest’ottica, i candidati principali sono senz’altro i cardinali Parolin e Zuppi. Sarà interessante vedere come influiranno i voti dei porporati americani, che hanno posizioni diverse e rappresentano la forza geopolitica più significativa. La Chiesa ha sempre tenuto conto della geopolitica, perché è l’unica realtà universale. Anche il cardinale Tagle, filippino di madre cinese, può essere molto efficace nello scenario che si sta delineando».





Dal sito Famiglia Cristiana

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