Estate, caldo, finestre aperte. Una persona anzia-na, e un po’ sorda, segue la santa Messa alla televisione a tutto volume. Forse pensa anche di fare opera di apostolato. Nel condominio qualcuno si indispettisce… Mi chiedo: perché tutte queste Messe in televisione? Per i malati? Sarebbe una cosa bella, ma non potrebbe bastare la radio? Non si rischia di banalizzare, se non di profanare? – NATALE TREVISAN
La domanda è chiara e precisa ed esprime timori reali. No, non si fa apostolato alzando il volume del televisore. Comportamento in contrasto con la civile convivenza e che va contro i principi base di ogni regolamento condominiale. Non è questo il modo migliore per avvicinare alla santa Messa. In ogni caso la questione del moltiplicarsi delle Messe teletrasmesse ha una data di riferimento, il settembre 1996, momento nel quale la Conferenza episcopale italiana ha ceduto questa possibilità ad altre reti, oltre che alla Rai. Sta di fatto che nel 1998 papa Giovanni Paolo II, nella sua Lettera apostolica Dies Domini (“Il giorno del Signore”), si esprime in modo chiaro su questo tema, dedicandovi un intero numero (54). Vorrei soffermarmi su alcuni passaggi.
In particolare il Papa precisa qui che chi è impedito da malattia o da infermità si può «unire da lontano nel modo migliore alla celebrazione della Messa domenicale» leggendo sul Messale le letture e le preghiere del giorno, come pure «attraverso il desiderio dell’Eucaristia». La liturgia, infatti, non ha barriere che il “desiderio” non possa superare. È il motivo per cui santa Chiara è stata dichiarata da Pio XII patrona della televisione (14 febbraio 1958). Ai suoi tempi ovviamente non esisteva la televisione, ma il “desiderio” della santa seppe fare miracoli. A questo punto il Papa spiega: «In molti paesi, la televisione e la radio offrono la possibilità di unirsi ad una celebrazione eucaristica nel momento in cui essa si svolge in un luogo sacro». E, subito dopo, aggiunge: «Ovviamente questo genere di trasmissioni non permette in sé di soddisfare al precetto domenicale, che esige la partecipazione all’assemblea dei fratelli mediante la riunione in un medesimo luogo e la conseguente possibilità della comunione eucaristica».
Il Papa, però, insiste: «Per coloro che sono impediti dal partecipare all’Eucaristia e sono perciò scusati dall’adempiere il precetto, la trasmissione televisiva o radiofonica costituisce un aiuto prezioso», e offre alle chiese locali un suggerimento pastorale che, purtroppo, non ha ancora trovato in Italia un ascolto creativo: «Tutto questo soprattutto se integrato dal generoso servizio dei ministri straordinari che portano l’Eucaristia ai malati, recando ad essi il saluto e la solidarietà dell’intera comunità». Qui le parole di Giovanni Paolo II si collegano al magistero di Francesco, che sta operando in tutti i modi perché tutta la Chiesa riconosca il proprio carisma ministeriale. Purtroppo si è arrivati alle “tante” Messe in televisione, ingenerando una reale banalizzazione, mescolata a interessi non sempre “eucaristici”. E su questo si dovrà riflettere… sinodalmente.